Gli angeli sono anche all’inferno

E’ stata una giornata intensa, frenetica, in cui la mia indole iperattiva ha preso il sopravvento e volevo arrivare alla sera con la consapevolezza di aver fatto mille cose, così la mia autostima sarebbe salita ed io sarei stata finalmente soddisfatta. Ma non è andata così. Il mio cuore non era d’accordo e mi ha fermato. Arrivata al Pronto Soccorso, gli operatori sono prontamente intervenuti senza ottenere risultati efficaci. Dovevo essere trasferita in un altro ospedale con un’ambulanza. Ma una era rotta e l’altra…. “Aspetti signora che ne troviamo una disponibile”, mi hanno detto. Tranquilli – ho risposto -, ma dentro di me mi sentivo davvero male per questa assoluta mancanza di mezzi. Finalmente la situazione si è sbloccata e sono stata trasferita a Belvedere Marittimo. Conosco questa struttura, in particolare l’U.T.I.C. ( Unità Terapia Intensiva Cardiologia).

E’ un enorme spazio nel seminterrato con un’unica finestra, illuminato notte e giorno da grandi luci al neon, come quello che si vede nelle serie di medicina alla TV. I pazienti che arrivano con l’ambulanza del 118 vengono presi in carico e monitorati in questa sezione. Lamenti, pianti e  talora grida di dolore rimbombano intorno,  ed è naturale, perché il reparto di Terapia Intensiva accoglie le emergenze.

Come da protocollo mi vietano di mangiare e il dormire, mi sbaglio, il riposare è impossibile per le luci piantate di fronte h24 e dal suono penetrante dell’allarme proveniente dai vari monitor (compreso il mio).

E’ davvero un’esperienza molto forte. L’unico desiderio di tutti i ricoverati è quello di essere trasferiti in reparto, dove potremo vedere di nuovo la luce naturale. Intanto il mio battito non rientra nella norma. Niente da fare, devo aspettare ancora che il medicinale faccia il suo effetto. Questa situazione di sofferenza e isolamento è accentuata dal fatto che non si possono vedere i familiari, tantomeno usare i cellulari. La presenza degli operatori sanitari con la mascherina, che usano anche i loro occhi per parlare e trasmettere coraggio a ciascuno di noi è davvero importante. Sono consapevoli del momento che stiamo vivendo. Dopo due giorni vengo trasferita in reparto, vedo la luce e sento bussare ai vetri delle finestre: sono i parenti infreddoliti che cercano di vedere i propri familiari per portare una parola di sostegno, acqua e biancheria.

Ringrazio Angelo, Luciano, Anna e altri ancora per avermi dato coraggio con la loro affettuosa presenza, per avermi procurato qualche bottiglia d’acqua, per aver detto una preghiera accanto a me….

Se passate da quelle parti, sappiate che ci sono angeli anche nell’inferno.

Lettera firmata

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