1861 – Speranze perdute. I “rampanti” erano già nati! – Gli amici degli amici erano sorti e…
La speranza d’una Italia diversa era già fallita all’indomani del plebiscito-farsa (lo votarono pochi e con voto palese), ma questa è storia diversa da quella che vi presenteremo; vi forniremo un documento originale: il pianto di un cronista. Il pezzo apparve su un giornale il 24 ottobre 1861 ed è intitolato: Essi e noi
L’autore incomincia col dire che deve fare al lettore “una piccola predica”, alla buona “come viene viene senza cerimonie e senza vezzeggiativi”. Da questo si arguisce che la cosa si fa seria, anche se l’incipit è bonario. Lasciamo altri preamboli e cediamo la penna al giornalista napoletano:
“Giacché siamo obbligati a giocare, anche non volendo, dobbiamo giocare, impariamoci a conoscere il gioco e le carte:
Le carte sono due, cioè essi e noi: il gioco è a carte scoverte e a carte coperte, la posta è l’Unità d’Italia.
Noi ci conosciamo, noi siamo quelli che vivono come i passeri, giorno per giorno, alla ventura del diavolo.
Noi ridiamo quando dobbiamo ridere, e quando la mala fortuna ci fa qualche brutto tiro la bestemmiamo anche allegramente, perché la mala fortuna ci ha partoriti, ci ha allattati, e ci ha dato il battesimo e la cresima.
Noi diamo i soldati all’esercito, i marinari alla flotta, le braccia al lavoro, il danaro alla finanza ed il sangue alla rivoluzione.
Noi abbiamo regalato Garibaldi ai popoli oppressi: Locatelli, l’ombra sterminatrice delle jene di Roma, è uscito dalle nostre file.
Noi insomma siamo il popolo, siamo la base del dritto; noi siamo quel Dio della scrittura, noi, veramente possiamo dire: PER ME REGES REGNANTI.
Noi non appartenghiamo a nessuna setta a nessun club, e nessuna Consorteria: i settarii, i clubisti, i consorti sono divisi da noi, non hanno che fare con noi, formano chiesa separata, sono considerati ereteci dalla grande ed imponentissima maggioranza, non hanno niente a dividere con noi che siamo il popolo sovrano”.
Così sono presentati chiaramente i noi. La precisazione è d’obbligo, perché vi erano già “belli e fatti” gli essi: gli Italiani, o meglio coloro che si dicevano tali. Oggi non li chiamiamo essi, ma rampanti. Questi come si vedrà erano già nati e ne diamo ulteriore prova. Chi erano gli essi?
“Essi! – spiega il giornalista – ecco il rovescio della medaglia.
Essi, temendo che le loro opere bieche non trasparissero alla luce del sole, come i gufi, come i vipistrelli, come i lupi si raccolgono tra le colpevoli ombre del mistero e colà lasciano bollire la caldaja della scellerata tregenda.
Essi profittano delle rivolture dei popoli e, smessa la scellerata ed immonda tonaca del gesuita, salgano sulle tribune e gridano: siamo fratelli, e schiamazzano: io sono il tuo Dio, tu non adorerai altro Dio fuori che me – e poi come Bozzelli, come Tofano ci piantano nella nuca un colpo di pugnale alla traditora, e chi si è visti si è visti.
Essi, compatti e stretti fra loro come un fascio di fili di ferro, accerchiano i Ministri ed i Locotenenti, impediscono industriosamente loro il veder la faccia della verità, nascondono i bisogni de’ popoli e dicono: il popolo siamo noi!
Essi assediano la finanza dello stato non si dividono dai sacchetti, manco se vedessero morir le madri loro di spasimo, i figli divorarsi l’un l’altro, manco se le loro donne imboccassero le porte del lupanare.
Essi dispensano le grazie ai loro cagnotti, a quelli che a furia di piegar la schiena si sono ingrazianiti con la loro grandigia ed hanno fatto più lungamente fumare sopra i loro altari bugiardi i turiboli dell’adulazione.
Essi, dopo aversi acciuffata la pagnotta più grossa, dispensano i tozzi alle turbe de’ loro iloti affamate, e guai allo sciagurato che leva un po’ alto la voce, guai se il lamento di un qualche ilota famelico, offende il dilicato timpano delle loro aristocratiche orecchie, che sono veramente orecchie di Mida”.
Dopo questa analisi-denuncia, sembrerà a tutti coloro i quali avranno la pazienza e la bontà di leggere queste note, un qualcosa di già sentito, di attuale, anzi attualissimo. Il giornalista vuol essere certo che il popolo, al quale si rivolge, abbia capito bene quanto gli ha sciorinato.
Allora si poteva avere questo dubbio; e ora? Ma, ricediamo la penna:
“Popolo mio, mi hai tu inteso? Hai conosciuto adesso la differenza che passa tra essi e noi? Hai compreso il gioco? Conosci il mistero?
0h! sì, tu mi hai compreso, perché io ti vedo fremere, perché io veggo il pallore de’ generosi nel tuo viso, veggo la tua fronte bagnata di sudore, veggo che la tua pazienza è stanca; ma!… ma noi dobbiamo fare l’Italia una e la faremo!
VIVA LA ITALIA UNA”.
L’Italia Una la fecero, ma la denuncia riportata non è mai mutata da allora, anzi è forse peggiorata. Esistono ancora essi e noi?
Forse non sarebbe male leggere nelle scuole e commentare questi Documenti tenuti ben nascosti.
Giuseppe Abbruzzo