Lacrime per un bimbo sconosciuto
Lo scorso 18 novembre, il Tg 1 in apertura annunciava una notizia terribile a cui non ci si abitua mai, nonostante le brutture facciano sempre più parte del nostro quotidiano. Al confine tra Bielorussia e Polonia, dove da settimane si gioca una partita sporca sulla pelle di disperati, un bimbo di appena un anno è morto assiderato. Il freddo tagliente in quel luogo terribile se lo è portato via. La morte di qualsiasi essere umano è sempre un evento tragico, quella di un esserino così piccolo e fragile in quelle condizioni è inaccettabile.
Quella vittima innocente sacrificata sull’altare dell’odio e dell’indifferenza ci vede tutti implicati. Nessuno può tirarsi fuori, meno che mai i perbenisti nostrani, sempre pronti a inveire contro chiunque sfidi il mare per fuggire da morte e fame. Per un paradosso del destino, quel bambino ha trovato la morte davanti alle porte serrate di casa nostra, ha bussato ripetutamente con le mani esili ma nessuno ha risposto. C’è una responsabilità collettiva dell’Europa, di tutti noi, che non è possibile sottacere. Attenzione, non sto parlando di colpa ma di responsabilità, che è diverso. E’ chiaro che nessuno di noi è materialmente colpevole di quanto successo, ma tutti siamo, in definitiva, responsabili di quell’evento. Noi, col nostro atteggiamento quotidiano di diffidenza e chiusura, noi, che ci professiamo cristiani e restiamo sordi di fronte a chi bussa alle nostre case per fame e freddo. La responsabilità è corale. Che si tratti di un filo spinato, di idranti, di un muro, ciò che si frappone tra chi tende la mano e chi aggredisce non può essere altro che odio verso chiunque riteniamo distante da noi. Siamo coscienti che il problema migranti è notevole e di non facile risoluzione ma riteniamo che, proprio per le sue dimensioni, la tematica vada affrontata a livello globale europeo. Non si può lasciare da solo il Paese che si trova per primo a fronteggiare gli ingressi ma non è nemmeno concepibile, come vorrebbe una certa destra, che si possa ipotizzare di sparare sui gommoni. Meno che mai accettabile è l’atteggiamento avuto in passato da alcuni governi che, per ridurre le ondate, si
limitavano a pagare chi organizzava i viaggi, per impedire le partenze e far si che tanti esseri umani, che tentavano di fuggire da fame e morte, finissero per essere relegati in una sorta di lager. Solo una politica estera comune dell’Unione e un impegno corale sui problemi potranno sancire il passaggio dalla semplice sommatoria di Stati sovrani a una federazione di Paesi in grado di agire univocamente.
Finora abbiamo assistito a un Europa che non ci piace, fatta di tante, singole e discordanti voci, nella quale ognuno rivendica i propri interessi frazionali, dimenticando e sacrificando lo spirito unitario.
Paradossale, poi, risulta l’atteggiamento della Polonia, che ha schierato tutto il suo esercito al confine per impedire che la gente lo oltrepassasse. Chi ci ha provato veniva respinto con ogni mezzo, dagli idranti alle armi. Pensate se l’Italia avesse adottato questa politica, che pure da qualche parte veniva evocata, che cosa sarebbe
successo a migliaia di vite sospese. Quel corpicino morto dal freddo alle porte dell’Europa deve indurre, per lo meno, una rivolta di coscienza degli spiriti liberi e un cambio di visione, individuale e collettivo, che parta dal presupposto che, al di là delle posizioni, l’uomo si contraddistingue per la sua capacità di essere solidale coi suoi simili. In assenza di questo sentimento, inutili e fuori luogo risultano le commozioni del momento.
Massimo Conocchia