Scuola e Pnrr
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano (PNRR) italiano è un testo importante con tante domande che sfidano le sorti del prossimo futuro di molti settori sociali ed economici del paese, del Sud in particolare.
Tratta di 6 missioni per il futuro del paese, tutte tra loro interconnesse e trasversali. Per l’Italia le risorse complessive sono più di 220 miliardi e quelle destinate all’educazione (scuola, università e ricerca) ammontano a più di 33 miliardi di euro.
Il PNRR intreccia sei missioni fondamentali per contrastare le conseguenze della pandemia: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura, rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute. Per tutte le missioni sono identificati tre target fondamentali: i giovani, le donne e il sud.
Le tre questioni italiane che, con riguardo al tema educazione e ricerca, fanno emergere quelle che sono tra le principali criticità del paese: giovani poco laureati, molti NEET; donne che lavorano ancora poco, anche se laureate, ancora segregate in settori e posizioni con poca mobilità; un sud staccato e ancora lontano dagli standard di sviluppo dell’Europa che mostra il ritardo formativo e economico del paese.
Nel campo educativo il Piano intende intervenire in termini di territori, di genere e generazioni. La parte relativa al genere riguarda il potenziamento dei servizi di asili nido e per la prima infanzia, delle scuole dell’infanzia e del tempo-scuola. Queste misure dovrebbero fornire un supporto all’aumento dell’occupazione femminile nei campi scientifici e digitali. Con riguardo ai giovani l’impatto è più generico e si riferisce al potenziamento degli strumenti necessari per una partecipazione più attiva da parte delle nuove generazioni, alla vita sociale, culturale ed economica del Paese. Questo obiettivo, non meglio specificato, dovrebbe essere supportato “fornendo competenze ed abilità che sono indispensabili per affrontare i processi di trasformazione del nostro vivere indotti dalla digitalizzazione e dalla transizione ecologica”. Il terzo impatto trasversale della missione educativa e di ricerca riguarda la riduzione dei divari territoriali con la promozione di nuovi centri di eccellenza nel campo della ricerca per il Sud che dovranno favorire anche il trasferimento tecnologico e l’impiego di risorse qualificate.
Si tratta di una montagna di buone intenzioni nei confronti di criticità che attraversano da sempre generi, generazioni e territori in Italia. È la volta buona? Vedremo.
Nel testo si riconoscono: le carenze strutturali in tutti i ciclo formativi; la necessità di aumentare gli asili nido (questione chiave richiamata molte volte anche per aumentare l’efficacia del lavoro femminile); il numero di diplomati che si iscrivono all’università sono troppo bassi (solo 60 su 100 diplomati si immatricolano all’università e di questi solo il 29% raggiunge la laurea, restiamo il paese fanalino di coda dell’Europa); la necessità di rafforzare i sistemi di orientamento di primo e secondo livello che rispondono ancora troppo spesso a meccanismi di riproduzione delle diseguaglianze sociali di partenza; l’inefficacia della politica per la formazione degli insegnanti (che la pandemia ha trovato impreparate/i rispetto alle forme della didattica a distanza, un effetto forse visibile anche nei risultati Invalsi per l’anno scolastico 20-21); la debolezza del nostro sistema di ricerca pubblica (di base e applicata) e la necessità di maggiore ancoraggio tra questa e la crescita economica del paese. In linea generale il piano evidenzia come i problemi del sistema educativo italiano, in tutte le filiere, riguardino da un lato la debolezza delle infrastrutture (fisiche e digitali) e dall’altro la qualità del capitale umano (dal lato docenti e dal lato studenti). Si tratta di due debolezze strutturali che vanno ben al di là della crisi pandemica.
Le critiche non mancano. Le maggiori si sono concentrate su chi e come valuterà l’efficacia degli interventi e quale sarà l’impatto reale per il Sud. Il PNRR ha certamente identificato le criticità principali e ha elencato interventi rilevanti da adottare, ma le linee d’azione per fare di un piano di investimenti un quadro di riforme sono ancora piuttosto frastagliate e incerte. Perché si possano mettere in pratica è importante prevedere un forte coordinamento fra tutti i soggetti interessati che dovrebbe essere focalizzato sulla discussione verso comuni interessi e fini piuttosto che sulla sola esecuzione dei provvedimenti predisposti dal piano: saranno le parti in gioco capaci di fare questo in pochi anni? Lo saranno nel Sud. Il Piano intende accelerare la risoluzione di criticità profonde in atto da molto prima della pandemia e, data l’eccezionalità delle risorse (un debito che peserà sulle generazioni future), non si potrà sbagliare nel loro uso e finalizzazione. Non si potrà sbagliare nel Sud.
Assunta Viteritti