Territorio: il grande abbandono
Periodicamente salgono alla ribalta dei media le calamità che colpiscono il nostro territorio, incendi-frane-alluvioni, con cadenza periodica, solo quando ci scappa il morto e per pochi giorni, prima di mettere tutto nel dimenticatoio e passare ad altro.
E’ ormai una consuetudine, in estate si enfatizzano gli incendi, in autunno e primavera le frane e le alluvioni, troppo caldo e troppo freddo tutto l’anno, poi la notizia invecchia e nessuno si interessa più del problema.
Tutti fanno finta di ignorare che quasi tutti questi problemi sono dovuti anche ad un fenomeno che passa inosservato ed ignorato da chi lo dovrebbe invece affrontare per dovere istituzionale: l’abbandono del territorio.
E’ un fenomeno che è iniziato negli anni ottanta dello scorso secolo e che dura quindi da quasi cinquant’anni, è cominciato tutto con l’arrivo delle regioni e con le competenze in materia di territorio affidate loro in esclusiva, boschi, montagne, fiumi, acque, coste, sono da allora in mano alle regioni ed alcune, se non tutte, come la nostra Calabria, il territorio lo hanno completamente abbandonato.
Chi ha l’abitudine, come noi, di viverlo il territorio, per amore, per svago, per sport, per lavoro, si rende conto che le piccole e grandi opere per la difesa del territorio Calabrese (“sfasciume pendulo sul mare” lo definiva Giustino Fortunato all’inizio del secolo scorso), dai rimboschimenti alle briglie sui torrenti, dagli argini dei fiumi alla sistemazione delle frane, sono state tutte realizzate in due fasi storiche, primo e secondo dopoguerra. Negli anni venti e trenta, le grandi bonifiche delle paludi (vedi piana di Sibari), la difesa delle montagne dall’erosione e dei torrenti con le briglie; negli anni sessanta e settanta la meritoria opera dell’allora OVS (Opera Valorizzazione Sila) e della Forestale che rimboschirono centinaia di migliaia di ettari e regimarono tutti i torrenti con la realizzazione di migliaia di briglie e di gabbioni metallici.
Basta camminare lungo le nostre montagne per incontrare solo briglie in pietra a facciavista (anni 20-30) o in calcestruzzo e/o gabbioni metallici (anni 60-70), boschi da rimboschimento di 40-50 anni; mai che si incontri una briglia o un bosco con meno di cinquant’anni, perché? Perché da quando è subentrata la Regione Calabria niente di tutto questo è stato realizzato, e, ancora peggio, a queste opere non è stato garantito alcun intervento di manutenzione, con il risultato che i boschi bruciano e le briglie franano.
Dice Tomaso Montanari, rettore dell’Università di Siena, a proposito del PNRR e dei 220 miliardi da spendere: ” Tra le grandi opere non c’è traccia dell’unica utile: la messa in sicurezza del territorio. Il piano destina alle “Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico” 2,49 miliardi: meno di un decimo di quanto regalato al cemento delle nuove infrastrutture. Quale idea di Paese, quale amore per il nostro futuro presiede a un simile suicidio collettivo travestito da modernizzazione?”
Il territorio lo ha abbandonato, da quando esiste, la Regione Calabria, ora lo ha abbandonato anche lo Stato, quale idea di Paese abbiano è facile da immaginare.
Flavio Sposato