Bullismo, quanto se ne parla?

Quanto ne sappiamo di bullismo? Quello che con l’avvento dei social e la loro estrema diffusione fra bambini e adolescenti è diventato anche cyberbullismo. E quanto se ne parla? Forse ne sappiamo poco perché se ne parla ancora meno; poiché il bullismo, non si sa perché, continua ad essere un tabù, qualcosa di cui meno si sa meglio è, meno se ne discute meno si rompono equilibri talora molto poco virtuosi. In un’epoca in cui la televisione e internet ci mettono in connessione immediata con ogni parte del mondo permettendoci, dunque, di “aprirci la mente”, paradossalmente avviene, sempre più spesso, l’esatto contrario. Forse perché viviamo in un’area geografica che non ci consente un reale e concreto confronto con chi ha una specificitàdifferente dalla nostra. 

In un’epoca in cui si dice che siamo tutti uguali, ciascuno nella propria, innata e imprescindibile soggettività, ci sono ancora bambine e bambini, ragazze e ragazzi, che per colore della pelle, religione, orientamento sessuale, o più semplicemente perché hanno una propria personalità, un proprio modo di pensare, di vedere il mondo, di agire, divengono bersaglio di chi utilizza termini quali grasso, zoppo, nero, gay, per offendere qualcun altro, di solito un loro pari per età, scuola, frequentazioni, insomma i cosiddetti “amici”.

Mi piacerebbe capire inoltre perché si usi la parola gay come insulto, è assurdo che sovente ci si scandalizzi meno a sentir parlare di assassini, di ladri, di corrotti e invece si è pronti a storcere il naso difronte a chi vive la propria libertà senza fare del male ad alcuno. Talora anche semplicemente fare un apprezzamento estetico verso una persona dello stesso sesso scatena sospetto e derisione. Sospetto per cosa, poi? 

E’ mai possibile che nel 2021 famiglia, scuola, istituzioni, parrocchia, non riescano a trasmette valori quali tolleranza, rispetto e soggettività? Quanto parliamo con i nostri figli e i nostri alunni? Quanto siamo disposti a rischiare di scoprire che c’è qualcosa che non va? Di scoprire che nostra figlia o nostro figlio subisce bullismo o che, al contrario, lo esercita?

Abbiamo mai provato a spiegare davvero le conseguenze di parole, azioni e gesti ad entrambe le parti? Quanto può un genitore “istigare” il proprio figlio – seppur in maniera inconsapevole – ad essere bullo? Se imparassimo ad essere meno superficiali, se imparassimo ogni tanto a metterci nei panni degli altri, se imparassimo ad usare parole educate e gentili, forse riusciremmo finalmente a capire che le parole non cadono mai nel vuoto, ma si imprimono come cicatrici nella mente a ricordarci quello che abbiamo subito. 

Quella fatidica frasetta che almeno una volta al giorno sentiamo anche solo di sfuggita “sono cose da ragazzi” credo non andrebbe mai pronunciata, semplicemente perché le cose da ragazzi non esistono, la sofferenza, il dolore, la violenza, anche velata, sono tali e tali rimangono. Cambiare nome alle cose non ne fa cambiare la sostanza.

Ma torniamo alla domanda inziale, quanto se ne parla di bullismo? A parte qualche noioso e, sovente, inutile convegno a cui, quasi esclusivamente, medici, psicologi, professoroni variamente titolati, vengono invitati a parlare a frotte di giovani annoiati e poco propensi, giustamente, a comprendere sterili proclami, si chiede mai a coloro che sono stati vittime di raccontarsi? Si chiede mai ai bulli il perché? 

Esiste un ente molto prezioso in Italia la “ACBS – Associazione Contro il Bullismo Scolastico ODV” guidato da Vincenzo Vetere, giovane uomo di origini calabresi, che porta in giro la sua storia di bullizzato, una storia atroce, dolorosa che io ho scoperto sul libro di Antologia di mio figlio. Ecco, perché non cercare le testimonianze come quella di Vincenzo, quelle di chi ha vissuto sulla propria pelle l’atrocità del bullismo. Il confronto e l’ascolto sono fondamentali per uscire allo scoperto, per trovare il coraggio di ammettere di essere carnefici e trovare la forza per gridare di essere vittime. 

La gentilezza e la buona educazione ci permetteranno di crescere figli che un giorno saranno adulti felici e rispettosi di sé e degli altri. Usiamo parole gentili, diamo il buon esempio.

Loredana Barillaro

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