Re Nasone e…

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Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli, che divenne I del regno delle Due Sicilie, meritò dal popolo il nomignolo di Re Nasone, per avere un naso abbastanza pronunciato. La cosa dispiaceva al nasuto re e il 7 giugno 1815, dicono alcuni “storici”, con editto, minacciò il carcere a chiunque lo chiamasse con quell’epiteto.

Il re pensava di aver risolto la cosa, ma il popolo fece vero il detto: spesso il rimedio è peggiore del male, e cantò:

Mo s’è jettatu lu bannu,

che nun se po’ di chiù: – Nasill’ ‘e mamma! -.

Ma nu’ me ‘mporta che vaco ‘mprisone,

voglio semp’alluccà: – Viva Nasone! -.

Recitare o momorare i riportati versi, però, poteva portare diritto in prigione, così, tanti si contentavano di toccare il naso con la mano, dicendo: – Viva chello che nun ze po’ di’! – e, sottovoce, si aggiungeva: – Viva stu nasillo! -.

Abbiamo cercato inutilmente quell’editto. Fu un’invenzione degli “storici” denigratori di quel re? La data riferita all’editto è quella del rientro in Napoli, da Palermo, di Ferdinando IV, dopo l’allontanamento di Gioacchino Murat. Possibile che il re, appena messo piede a Napoli avrebbe avuto, come primo pensiero, quello di proibire il nomignolo? Allora sembra proprio tutto inventato.

Il popolo, però, è geniale sempre e quando si profilò l’intervento dell’Austria sull’ambito Regno, il popolo considerò su quanto era da sempre avvenuto e quanto gli poteva capitare fra capo e collo. Questo sì è stato l’eterno problema del popolo meridionale con le varie dominazioni:

Quanno c’era Ferdinannu

Magnavamu tutti quanti;

pu’ venetti Giuacchinu

si magnava sera e matinu;

e tornai Ferdinannu:

magnavamu tutti quanti;

mo chi c’è la costituzione

non si fa mancu colazione;

e, si vènenu li Tudischi

allura sì, ca stamu frischi!

Benedetto Croce copiò da un manoscritto anonimo quanto circolò nei momenti precedenti e successivi alla costituzione:

Pulcinella malcontento,

disertor del regimento,

scrisse a mamma, a Benevento,

della patria il triste evento:

«Movimento – Parlamento

giuramento – pentimento.

gran tormento – poco argento

armamento e mal cimento.

Fra spavento e tradimento

siam fuggiti come il vento.

Me ne pento me ne pento;

mamma cara, mamma bella,

prega Dio per Pulcinella!»

Anche questo, inventato o meno, fa parte della Storia, perché è parte integrante del popolo e di come questo legga gli eventi.

Giuseppe Abbruzzo

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