Genitori e figli (prima parte)
Un tempo i genitori avevano molti figli. Oggi ne hanno uno, al massimo due su cui concentrano l’affetto. La famiglia “di ieri”, inoltre, era molto più numerosa: nella stessa casa, vivevano infatti anche parenti, nonni e zii.
La prole era considerata indispensabile sia nel mondo contadino sia nel ceto popolare: era un “bene” perché contribuiva alle attività lavorative e alla sussistenza del gruppo familiare.
Situazione differente era quella della media borghesia, la quale poteva preoccuparsi di avviare allo studio i figli maschi. Le ragazze, invece, stavano relegate in casa, badavano ai fratelli e si dedicavano al cucito in attesa di sposarsi.
La famiglia dei nostri tempi può essere definita “ nucleare” perché formata unicamente dai genitori e dai figli. Solo in casi abbastanza rari coabitano anche i nonni.
I figli oggi non ubbidiscono più ciecamente ai loro genitori come si faceva una volta. Si è arrivati, in alcuni casi, alla mancanza di dialogo tra genitori e figli, e poche sono le occasioni di confronto. Questo succede perché tutti e due i genitori lavorano e, a fine giornata, si è stanchi per dedicare del tempo alle chiacchiere.
Ai giovani oggi è concessa molta più libertà di quanta ne fosse data ai loro genitori e così anche i rapporti all’interno della famiglia sono mutati nel tempo. I ragazzi amano passare molto tempo altrove, anche con le maggiori attività che ci sono da fare e l’efficienza dei mezzi di trasporto. Oppure, si chiudono in camera nel loro piccolo mondo sicuro.
Spesso, a causa di queste dinamiche, i genitori possono acquisire delle tendenze negative estreme: iperprotezione o assenza nei confronti dei figli, compensata spesso da beni materiali che nulla hanno a che vedere con l’educazione.
A volte sembrano addirittura in competizione fra loro per farsi amare di più, per stabilire un rapporto privilegiato. Spesso i ragazzi crescono senza avere accanto una figura genitoriale di riferimento, troppo impegnata nel lavoro o a domare lo stress, e possono assumere tratti egocentrici e mancare di responsabilità.
E non escludo che si sia messo all’opera un meccanismo psicologico nuovo e pericoloso. Un tempo, il matrimonio durava tutta la vita e nessuno correva il rischio che l’altro coniuge gli portasse via i figli. Ora non più. La coppia teme che, un giorno, il loro amore potrebbe finire, potrebbero separarsi e trovarsi davanti a un giudice.
Allora, ciascuno incomincia a premunirsi, per scongiurare il pericolo di perdere l’amore dei figli cerca di farsi amare in modo indelebile. Se il matrimonio, in molte famiglie non è più per sempre, ogni genitore cerca di stabilire un rapporto per sempre con i figli.
Quindi, quello che possiamo fare è cercare chiarezza dentro di noi e chiederci se ogni volta che ci rivolgiamo a nostro figlio, stiamo parlando dal cuore, dalla fonte dell’amore puro o dalla sovrastruttura della nostra personalità che ha una sfilza di disagi da scaricare sul figlio. Abbiamo due scelte nei confronti dei figli: donare loro un amore universale, incondizionato, o offrire un amore di plastica, destinato a portare sofferenze e a essere compensato con oggetti e comportamenti distruttivi.
Hai mai pensato alle conseguenze che questa mancanza di amore potrebbe portare a tuo figlio? Voglio concludere questo piccolo saggio con un consiglio: un giorno smetterai di lavorare, di avere preoccupazioni legate alla frenesia della quotidianità e i soldi che hai guadagnato oggi verranno spesi. Tuo figlio, invece, resterà per sempre. Vale la pena ignorarlo perché sei troppo stanco?
Alla sera, sedetevi a tavola e raccontatevi la vostra giornata. Ascolta tuo figlio, consiglialo, impara ad amarlo incondizionatamente.
Elena Ricci