Gli sfollati e…

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I bambini vedono la realtà con i loro occhi innocenti e la leggono a modo loro. Succede, così, che la lettura dei fatti, da parte degli adulti sia diversa da quella dei bambini.

Io non ero da meno degli altri, con un’aggiunta: avevo una fantasia fervida e sbrigliata, che mi faceva vedere ed elaborare il tutto a modo mio.

Quando bombardarono Paola (CS), durante l’ultima guerra, quella povera gente scappò dalle bombe e dagli inimmaginabili disastri come si trovava in quei tristi momenti. A piedi, tantissimi di tutte le età, dei due sessi si diressero verso i monti di Verbicaro.

Noi bambini giocavamo numerosi per strada quando un compagno venne a darci la notizia: – Sono arrivati gli sfollati!… Sono arrivati gli sfollati!… -. Non riuscii a chiedere nemmeno chi e cosa fossero e, curioso com’ero, mi precipitai. Assistetti a uno spettacolo che, a dir poco, mi sconcertò.

Vidi una lunga fila di gente: donne in camicia da notte bianche fino alle caviglie, che sembravano fantasmi, uomini vestiti alla meglio, bambini che piangevano impauriti e scappati così come si trovavano al cadere delle bombe. Gli anziani, che si lamentavano della sorte, che aveva loro serbato quell’immenso guaio: la guerra. Un giovane, fra gli altri, mi colpì. Non aveva un braccio e nell’altro che gli era rimasto stringeva un pezzo di ferro. Dicevano gli adulti, che era un pezzo di granata.

Descrivere la scena che mi si era parata davanti agli occhi è difficile: il dolore, la paura e quanto connesso era dipinto sui volti, e sulla intera persona.

Restai impietrito non so per quanto. Appena mi fui ripreso scappai a casa e comunicai a mia madre che avevo visto gli sfollati e glieli descrissi. Lei stentava a credermi e cercava di sdrammatizzare, per non farmi dispiacere più di quello che mi si leggeva in volto e nel corpo.

Chiedevo: – … E, ora come faranno a vestirsi?… Dove dormiranno?… Chi darà loro da mangiare?… E, quei bambini ce l’hanno la mamma e il papa?… -. Ero un vulcano di domande, con le lagrime che mi rigavano il volto.

Mia madre cercava di darmi risposte rassicuranti. La notte non riuscivo a dormire. Vedevo nel dormiveglia quella scena terribile.

A ricordarmi quella tragedia era un anziano, che avevano sistemato nelle case poste sulla collina, rispetto a quella dove abitavo. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, quando ripenso a quei giorni, sento la sua voce senza volto, che emetteva il grido straziante ininterrottamente: – Oh mari mi’, o gija mi’, oh chi bent’aggia minà! -. (Oh misero me!, oh gioia mia, come devo fare!). Non si fermava un attimo. Forse non riusciva a fermarsi, pensando alla tragedia che lo aveva ridotto alla disperazione.

Io che giravo, come ho detto altra volta, ininterrottamente per quei luoghi non osavo avventurarmi per vedere in volto quell’anziano straziato dal dolore.

I bambini non li vedevo in giro. – Dov’erano? – Mi chiedevo. Temevo che quei pochi rimasti avevano paura e se ne stavano rinchiusi in casa.

Non potevo immaginare che quel pericolo si paventava anche per noi.

Il paese, a un tratto, si svuotava. Regnava un silenzio di tomba.

Si diceva che le navi che bombardavano dalla costa del Tirreno, se avessero allungato i tiri ci avrebbero distrutti. Pensavo che anche noi saremmo diventati sfollati!

Le madri facevano e dicevano ai figli le preghiere della sera. La mia preghiera divenne una e solo una. Mia madre, prima di andare a letto, ci diceva sempre la stessa cosa: – Attenti. Quando vi chiamo prendete la roba che vi ho sistemato a fianco al letto… Io prenderò vostra sorella (va detto che ancora non camminava, tanto era piccola) e venite dietro a me -.

In quel paese, come detto, non restava nessuno. Solo noi eravamo fermi in casa, perché mio padre doveva fare servizio per l’ordine pubblico e non potevamo muoverci.

Mi chiedo ora: – Se avessero allungato i tiri, come si diceva dove saremmo andati?… Non avevamo proprio dove andare… E, allora, quell’avvertenza serale a cosa serviva? -.

A sera, dopo il lancio del razzo, che preannunciava il bombardamento guardavo verso il mare, che scorgevo in lontananza. Quegli spari sembravano fuochi artificiali. Le grida dei bambini sfollati riprendevano. L’anziano continuava col suo grido. Qualche donna aveva uno sfogo incontrollato di paura. Com’è brutta la guerra!                                                                     

Giuseppe Abbruzzo

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