Le prove non finiscono mai

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Come è detto nel documento ufficiale dell’Istituto, “le prove INVALSI 2021 si sono svolte a conclusione di un anno scolastico particolare, ancora profondamente influenzato dalla presenza del COVID-19. Le prime prove rivolte a tutti gli studenti dopo lo scoppio della pandemia”  

Nonostante le difficoltà organizzative, e nonostante le tante controversie pro e contro, c’è stato, anche per il 2021, un elevato livello di copertura. Oltre 1.100.000 allievi della scuola primaria (classe II e classe V), circa 530.000 studenti della scuola secondaria di primo grado (classe III) e circa 475.000 studenti dell’ultima classe della scuola secondaria di secondo grado. Numeri importanti. 

Le prove Invalsi intendono essere una misurazione delle conoscenze e delle competenze apprese a scuola. Negli intenti dell’indagine non vogliono essere solo test di memoria ma “misurano” capacità di ragionare e valutano come le conoscenze apprese a scuola vengono connesse tra di loro e come si applicano a problemi nuovi. Alla preparazione dei test lavorano centinaia di esperti (pedagogisti, statistici, sociologi, ecc.) e le prove Invalsi sicollegano a misurazioni simili sul piano internazionale (prove OCDE-PISA). 

Per gli apocalittici i test non misurano nulla, non servono alla scuola e pretendono di quantificano l’apprendimento che non è misurabile con i numeri e sono anche negativi per la scuola. Per gli ottimisti sono importanti perché misurano i risultati di apprendimento nel tempo in modo oggettivo e consentono di comparare le diverse situazioni. 

Tra i due estremi ci sono molte altre posizioni intermedie, forse più interessanti: i test sono uno strumento complicato, non oggettivo, sono una produzione culturale, richiedono esperienza “nella pratica del farli” e la scuola italiana non prepara ai test; i testi sono praticati a scuola come un corpo estraneo e aggiuntivo. A livello internazionale i paesi primi al mondo in questa pratica (Finlandia, Corea del Sud, Canada, Australia) sono anche i paesi in cui gli studenti hanno risultati migliori. Questo perché in quelle scuole i test sono usati in modo ordinario nell’insegnamentoscolastico di tutti i giorni. È un bene, è sbagliato? Si aprono qui troppe questioni che non sono oggetto di questa breve riflessione.

Di certo nella scuola italiana i test Invalsi sono vissuti come una pratica esogena, estranea, sono una parentesi eccezionale per tornare poi all’ordinarietà della scuola senza test (per fortuna per tanti, purtroppo per molti). Nella scuola italiana la “valutazione codificata” è poco frequentata e gli studenti non sono quindipreparati a gestire questo tipo di prove e gli insegnanti non usano le prove come una forma di verifica interna. 

Qualunque cosa si pensi dei test Invalsi continuano a mostrare un quadro di sintesi che non lascia dubbi (dato confermato appienoper il 2021) e fanno vedere una scuola a diverse velocità. L’esito è lapidario: a sud qualcosa continua a non funzionare (e nell’anno della pandemia ha funzionato ancora meno). Italiano, matematica e lingua, per tutti gli ordini di scuola, mostrano un sud con elevate percentuali di studenti che non raggiungono livelli accettabili, più si sale negli ordini di scuola e peggiori sembrano essere i risultati. 

Ora, chi studia e fa ricerca sulla scuola, conosce bene le differenze e le diseguaglianze territoriali nei rendimenti degli studenti e i test Invalsi sono una conferma che puntualmente arriva. Forse però guardiamo il dito e non la luna. Le domande sono anche altre. Come si insegna? Come si valuta? Come la scuola risponde alle sfide educative delle nuove generazioni?

Possiamo dunque concordare che gli esiti delle prove Invalsi mostrano anche altro: la scuola italiana deve migliorare, i docenti devono innovare contenuti e pratiche di insegnamento e devono imparare a valutare in altri modi. E questo al sud va fatto ancora di più, questo è certo! 

Se per il sud i dati d’insieme mostrano un quadro allarmante, i dati di dettaglio (per singole città o per singole scuole) possono mostrare delle sorprese, bisognerebbe guardare ai dati non dai titoli di giornale e non dall’impatto mediatico ma in dettaglio, territorio per territorio perché anche nel sud ci sono nicchie in cui i dati Invalsi sono migliori e dicono cose contro intuitive. 

Insomma, i risultati di queste prove possono essere letti in molti modi, sono comunque un indicatore di massima di fenomeni che si conoscono bene: le diseguaglianze formative e sociali di partenza contano molto (al sud queste sono più evidenti); la scuola a volte (purtroppo e in varie forme) le riproduce; i test Invalsi testimoniano da sempre un divario tra nord e sud e durante la pandemia ancora di più. 

L’anno della pandemia ha rotto ogni equilibrio, ha fatto emergere in modo esponenziale criticità e vulnerabilità, i test Invalsi lo confermano (non era difficile prevederlo). Ora però dimentichiamoli, non facciamoli essere una spada sui destini dei giovani, tutto è sempre in gioco e poi i test (diciamolo) sono anche noiosi da compilare e si sa, i ragazzi e le ragazze del sud sono creativi e irrequieti e quest’anno i test Invalsi li hanno forse compilati senza convinzione, entusiasmo, motivazione, preparazione e supporto. Se non si crede in quello che si fa i risultati ne risentono. Speriamo nella prossima?

Rimbocchiamoci (tutti) le maniche, cosa sarà mai, alla fine sono solo crocette!

Assunta Viteritti

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Una risposta

  1. Adelinda Zanfini ha detto:

    Non di solo Invalsi…

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