La Storia vera spiace, ma…
“La storia, dice un insigne scrittore, è divenuta una cospirazione contro la verità, o perché questa torna a molti odiosa, o perché non vien ricercata con la scrupolosa diligenza che si richiede per esser trasmessa sgombra di errori. Della qual ricerca alcuni si dispensano per leggerezza di estimativa, altri per incapacità, massime quando trattasi di materie che richieggono esame e studio speciale”.
La verità, in questo caso, ha un duplice aspetto: può mancare la capacità di fare ricerche serie; e, il non avere un metodo di studio capace di avviare alla ricerca d’archivio e bibliografica.
Quanti cercano di ricostruire la verità sulla conquista del regno delle Due Sicilie, su come avvenne e quali furono le conseguenze che, ancora oggi, scontano i luoghi di quell’ex regno?
Un episodio che, insieme ad altri, registra il tradimento dei vertici dell’esercito borbonico, è dato dal comportamento del generale Briganti, che si affretta a intessere rapporti con Garibaldi. Ecco come se ne scriveva nel 1866.
“Il dì 20 agosto, favorito dalle tradizioni degli ufficiali del naviglio da guerra borbonico, Garibaldi felicemente mise in terra ottomila de’ suoi nelle Calabrie verso Reggio; il giorno appresso, stretto il debole presidio di Reggio, lo forzò a capitolare. Il generale Briganti, che stava a campo nelle vicinanze, in luogo d’investire le bande, separa l’artiglieria dalle schiere de’ fanti e a vece di mandarli serrati a combattere, li sparpaglia. Allorché questi s’avvidero della fraude, e gridarono: al traditore, Briganti spronò il cavallo per fuggire ai garibaldeschi”.
Va detto che, in precedenza, il Briganti aveva pranzato con Garibaldi e alcuni del suo stato maggiore. Ecco perché si precisa la fuga verso i garibaldineschi, sperando nella loro difesa.
L’autore continua; “i soldati sparandogli addosso, l’ebbero gittato di cavallo, e corsigli sopra, trovarongli in tasca le polizze della sua fellonia”. Le polizze erano “i trenta danari”, che confermavano ai soldati il suo tradimento.
Il gen. Briganti fu fatto letteralmente a pezzi. L’autore citato precisa sulla resa del gen. Ghio:
“Poco più innanzi, il generale Ghio abbarrava intorno a Tiriolo da eccellenti posizioni sulle balze la grande via consolare, che da Reggio guida per Cosenza lungo il mare a Napoli. Aveva sotto i suoi ordini quattro reggimenti di fanti, tre battaglioni di cacciatori, trecento gendarmi, due squadroni di lancieri, dodici cannoni da campo, insieme oltre a diecimila uomini. Ghio, che non voleva finire d’orribil morte come Briganti e tradir nullameno per oro, fa chiedere, il 29 agosto un abboccamento a Garibaldi, segna con esso una capitolazione, obbliga le sue schiere a deporre le armi”.
Altra volta abbiamo pubblicato il contenuto di quella resa e di come quel generale più che alle truppe, come al solito, abbia pensato a se stesso.
Questi e altri aspetti similari e, soprattutto, gli accordi tra mafia, camorra e politici non sono “accettati” da quanti scrivono la storia come riportato in apertura.
Un’analisi precisa su questo aspetto l’ha fatta Gratteri in una delle trasmissioni condotta da Augias su RAI 3, alla quale rinviamo.
La storia di Tore de Crescenzo a Napoli, d’altra parte, è eloquente, ma non se ne è dovuto parlare e scrivere per tantissimi motivi e protezioni eccellenti.
A proposito sentite e meditate su cosa scrive don Liborio Romano, ex ministro borbonico, molto lesto nel fare il salto della quaglia, con ottimo incarico da parte dei “nuovi venuti”: “Pensai prevenire le triste opere de’ camorristi, offrendo ai più influenti loro capi un mezzo per riabilitarsi”. Il nuovo potere ha rapporti con la camorra!!
Sentiamo il resto: “Laonde, fatto venire in mia casa il più rinomato fra essi, sotto le apparenze di commettergli il disbrigo d’una mia faccenda…”. Si tratta certamente di de Crescenzo. “gli dissi ch’ era venuto per esso e pe’ suoi amici il momento di riabilitarsi”. Incredibile! “Che era mia intenzione – prosegue – tirare un velo sul loro passato, e chiamare i migliori fra essi a far parte della novella forza di polizia”.
Sembra incredibile, ma è noto a chi ricerca il vero su quanto, purtroppo, avvenne: fu inenarrabile vergogna. Gratteri ha avuto il coraggio di far riferimento a tutto questo.
Giuseppe Abbruzzo