Buono come il pane

Chi mi conosce sa che sono corregionale di Leonardo da Vinci, Piero della Francesca, Francesco Petrarca, nonché di Benigni, Pieraccioni, Panariello e Matteo Renzi.

Uno dei prodotti più famosi della tradizione toscana è il pane. Non un pane qualunque, ma il ‘pane sciocco’ o ‘sciapo’ ovvero completamente privo di sale. A renderlo famoso in tutto il mondo è proprio questa sua caratteristica. Richiede una lunga lievitazione e, se ben cotto, si conserva anche per un’intera settimana.

Innanzitutto, come nasce il pane?

Il pane è un cibo antichissimo.  La sua scoperta è avvenuta per caso nell’era del paleolitico. I chicchi di cereali venivano pressati tra due pietre. La farina così ottenuta veniva mescolata con acqua per formare una poltiglia. Un giorno, questa andò a finire su una pietra rovente e, indurendosi, cambiò completamente sapore.

Gli Egizi, poi, scoprirono la fermentazione della farina mescolata ad acqua. Utilizzavano veri e propri forni per cuocere il pane, il quale divenne presto simbolo di ricchezza. I Greci, in seguito, aggiunsero ad acqua e farina altri ingredienti come latte, olio, miele.

I Romani, invece, allestirono dei veri e propri forni pubblici. Diedero quindi inizio alla produzione del pane artigianale, la cosiddetta “arte bianca”. Veniva tramandata da padre in figlio con tutti i suoi segreti e trucchi del mestiere, gelosamente custoditi. L’uso del pane è raccontato anche nella Bibbia. Gli Ebrei lo consumavano già nel 2000 a.C.. Consumano in particolare pane azzimo non lievitato nelle cerimonie religiose. Questo  in ricordo del pane preparato in tutta fretta la notte della fuga dall’Egitto.

Arriviamo ora all’origine del pane senza sale toscano.

Secondo un’antica leggenda, il pane sciocco nasce dalla rivalità tra Pisa e Firenze dell’XI secolo. I pisani aumentarono le tasse del sale e bloccarono il commercio con Firenze. I fiorentini scelsero allora di iniziare a produrre il pane senza utilizzare il sale.

Per la Toscana e per l’Italia centrale in generale quella del pane non salato è diventata tradizione gastronomica e consuetudine.

La storia del pane si perde dunque nella notte dei tempi, fino ad arrivare ai giorni nostri. In Italia esistono infinite forme e ricette di pane. La pitta in Calabria, la rosetta nel Lazio, il pan de frizze nel Friuli. E poi la coppia ferrarese e la piadina in Emilia-Romagna, il pane d’Altamura in Puglia. Il pane carasau in Sardegna, il pane mica e i grissini torinesi in Piemonte. Infine, il pane forte in Sicilia, il pane sciocco, cioè senza sale, in Toscana.

Si dice “buono come il pane” di persona molto mite.  perché non esiste pane che non sia buono, che non sia nutrimento per chi lo mangia. Il profumo del pane appena sfornato attiva tutti i nostri sensi. La vista con il suo colore dorato, il tatto con la sua crosta, l’udito con la sua croccantezza e, naturalmente, il gusto con il suo sapore che non stanca mai.

Adoro entrare in panificio, mi ricorda l’infanzia! Il profumo del pane appena sfornato per un attimo blocca il tempo.

L’aroma del pane porta a galla alcuni frammenti della mia memoria. In particolare, penso spesso alla mia balia. Fino agli inizi del Novecento, nelle classi agiate, era consuetudine affidare i bambini a una donna, spesso scelta tra i contadini o il personale di servizio, perché provvedesse all’allattamento.

Sono stata affidata a una balia in quanto nata in una famiglia borghese e benestante di Arezzo. Aveva gli occhi grandi e i seni prosperosi che profumavano di latte. Ho trascorso i primi due anni con lei e la sua famiglia. 

Si chiamava Maria e suo marito Domenico. Facevano i contadini. Contavano sul cibo che coltivavano su uno scampolo di terra poco lontano dalla loro casa. Preparavano loro stessi il pane, come da tradizione.

In vista del lungo inverno, come le formiche, la mia balia metteva da parte le provviste. Si procurava la legna per il camino per cucinare e la farina per fare pasta e pane.

I sacchi di farina venivano trasportati e custoditi in cucina, in una grande cassa di legno chiamata madia. In Toscana, ancora oggi, questa particolare “cassa del pane” è ancora presente. All’epoca, consentiva di conservare il pane fino a una settimana.

La preparazione del pane cominciava intorno a mezzanotte con la creazione dell’impasto. Maria prelevava dalla cassa di legno la farina occorrente e la versava nella madia. Dopodiché faceva un grande buco al centro e aggiungeva il prezioso lievito madre. Poi versava gradualmente l’acqua calda. Nel cuore della notte, Maria e le massaie del vicinato, con un ritmato lavorio di braccia,  impastavano il pane con tanta cura. La madia veniva inclinata su un lato, in modo tale da compattare meglio la massa impastata e facilitare la lievitazione. Si copriva l’impasto con degli strofinacci puliti e delle coperte per non disperdere il calore. Quando l’ambiente dove avveniva la panificazione non era molto caldo, si ricorreva all’accensione di un braciere.

Nel frattempo, senza fare troppo rumore, la balia rassettava la casa, preparava i cesti e tutto l’occorrente per trasportare il pane al forno. Dopo circa due ore, verificava lo stato di lievitazione premendo l’impasto con le dita. Se il grado di elasticità era quello giusto e l’impasto si staccava con facilità dal fondo della madia, allora era pronto per essere sistemato nei canestri.

C’era un profumo inconfondibile in cucina quando il pane era ancora caldo. Allora mi avvicinavo furtivamente al tavolo cercando di attirare l’attenzione per avere la prima fetta. Maria mi accontentava in tutto.  

Con le sue grosse mani callose prendeva il pane e lo stringeva al petto, mentre con un enorme coltello tagliavale fette. Dopodichè ne metteva una su un piatto e vi spargeva dell’olio d’oliva luccicante.

Questo è stato l’alimento principale con cui sono stata svezzata e ancora oggi provo una sensazione tutta particolare, indescrivibile nel mangiare una fetta di pane con l’olio. Ho mantenuto il contatto con questa donna che si è affezionata a me come a una figlia. Fino a pochi anni fa, sono andata a trovarla. Le ho fatto conoscere i miei figli, a cui ha preparato una fetta di pane con l’olio e negli occhi aveva i lucciconi dalla commozione. 

Elena Ricci

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