Io mi laureo!
Siamo nella stagione delle tesi di laurea nei tanti Atenei italiani(sono 96 distribuiti in tutte le regioni). Le famiglie sono tornate nelle aule ad ascoltare la discussione delle tesi di laurea di figli e figlie e a fare festa. Piccoli gruppi, ancora cauti, docenti spaesati ma contenti di trovarsi nuovamente davanti ai corpi degli studenti e delle studentesse senza la mediazione dello schermo. Laurearsi in Italia, ma quali sono i numeri?
Un certo stereotipo malsano e conservatore fa pensare che in Italia ci siano molti laureati e che poi in fondo la laurea non serva a molto, meglio cercare subito lavoro… Sbagliato!
In Italia i laureati sono pochi. Le indagini però dicono che laurearsi crea nel medio e lungo periodo lavoro più qualificato, democrazia diffusa, mobilità educativa e sociale. Ma l’Italia restaancora culturalmente, intellettualmente e socialmente arretrata riguardo al valore dell’istruzione universitaria.
Negli anni 70 e 80 mandare i figli e le figlie all’università rappresentava la spinta di emancipazione di una società che si apriva all’istruzione di massa, mentre oggi vediamo forme discoraggiamento e di maggiore cautela verso una formazione universitaria elevata e diffusa (per quanto riguarda le forze conservatrici e di destra a volte anche disprezzo). Una popolazione giovanile molto istruita forse spaventa, soprattutto se spesso tra i politici nazionali (donne e uomini) molti sono i nonlaureati.
Nell’ultima indagine EUROSTAT il 41% della popolazione europea di età compresa tra 25 e 34 anni ha completato l’istruzione universitaria. E’ una buona notizia! L’Italia però resta ancora il fanalino di coda.
In Italia nel 2020 solo il 29% dei giovani tra 25 e 35 anni raggiunge il titolo di laurea (possiamo registrare un leggero aumento rispetto al 2019 quando erano il 27%). La quota di laureati italiani è oggi superiore solo a quella della Romania che è nel 2020 è del 25%. L’Italia rimane molto lontana dalla media europea dell’obiettivo del 45% dei laureati entro il 2030.
Quello italiano è un dato decisamente critico e spiazzante. L’alta qualificazione non è ancora un bene pubblico strategico per la politica educativa e per la società italiana. Ancora più grave è poiil fatto che molti di quelli che si laureano cercano strade di ulteriore qualificazione o di lavoro in altri paesi europei che si trovano in posizioni più avanzate dell’Italia e che ai numeri dei loro laureati, già maggiori che quelli italiani, ne aggiungono ancora altri. Abbiamo quindi paesi attraenti che ai numeri dei loro laureati nazionali sommano quelli di altri laureati provenienti da paesi (come l’Italia) che cercano strade di maggiore soddisfazione e gratificazione educativa e professionale.
Il dato per l’Italia è ancora più grave se si pensa che il tasso di completamento dell’istruzione universitaria è pari al 45,3 per cento (questo vuol dire che su 100 immatricolati universitari solo 45 arrivano alla laurea), contro il 79,4 del Regno Unito, il 72 per cento della Finlandia e il 64 per cento della Francia.
Insomma, sono ancora pochi quelli che in Italia da diplomati vanno all’università (si tratta mediamente del 66,9%, in Calabria solo il 49%, e la stragrande maggioranza di coloro che si iscrivono all’università viene ancora solo dai licei) e sono pochi quelli che completano il percorso di laurea (solo il 29%).
Ma quali sono i paesi in cima alla lista dei laureati? Il Lussemburgo (con un numero di laureati pari al 61%), Irlanda e Cipro (che arrivano al 58%), la Lituania (che arriva al 56%) e i Paesi Bassi (52%). Anche Belgio, Danimarca, Spagna, Francia, Slovenia e Svezia, fanno parte del gruppo di Stati che ha raggiunto in anticipo l’obiettivo europeo. L’Europa è un buon posto per i laureati!
Unico dato positivo è che le ragazze oggi si laureano di più (in tutti i campi). Aumenta infatti la quota delle laureate che in tutti i paesi europei e in tutti i settori disciplinari risultata decisamente superiore a quella degli uomini. Tra i laureati si vede un divario di genere al contrario: la quota di uomini laureati è infatti cresciuta negli ultimi dieci anni, ma a un ritmo più lento rispetto a quello delle donne, questo è un dato rilevante e sfidante su cui riflettere (lo faremo in altra occasione).
L’Università italiana è dunque un colabrodo. La responsabilità di questo dato critico è diffusa: i docenti universitari spesso hanno una idea ancora elitaria dello studio universitario e scoraggiano (di fatto) gli studenti e le studentesse con minore capitale educativo sociale e familiare; i docenti delle scuole superiori non formano adeguatamente alla scelta universitaria (soprattutto nella parte non liceale che scoraggia di fatto i diplomati delle scuole tecniche e professionali a proseguire verso l’università); le famiglie, soprattutto quelle con basso capitale economico e sociale, non investono adeguatamente nel campo formativo elevato perché la cultura diffusa di un paese conservatore e non egualitario (come purtroppo è ancora l’Italia), non incoraggia lo studio universitario come sforzo di equità sociale prima che economica; il mondo del lavoro e delle imprese è spesso ancora miope e culturalmente arretrato verso la maggiore qualificazione dei neoassunti.
Quanto lavoro c’è ancora da fare!!! Eppure tutte le indagini nazionali e internazionali dicono che laurearsi, sul medio-lungo periodo, premia la qualità del lavoro, alza la qualità della retribuzione e crea cittadini e cittadine migliori (anche quando vanno a votare).
Meditiamo… quale futuro vogliamo per i nostri figli e le nostre figlie?
Assunta Viteritti