Vorremmo conoscere la verità!
A distanza di anni, ancora, si racconta, nelle scuole, la “storiella”, perché si ignora la Storia. Essa non è quella del copia incolla o quella “del mio libro”, ossia del libro di testo, dal quale non si sa uscire, la Storia, quella vera, si costruisce sulla testimonianza di chi l’ha vissuta. La storia dei vincitori è falsa e noi, di tanto in tanto, riportiamo qualche testimonianza diretta dei tempi passati.
A un certo momento fu inviato in Calabria il gen. Fumel, per debellare il “brigantaggio”, ossia la rivolta di chi era stato tradito con promesse mendaci mai mantenute. Abbiamo riportato che vari paesi si affrettarono a concedergli la cittadinanza onoraria, compreso Bisignano, tanto per citare un paese ben noto, e la stessa Cosenza.
Raccogliamo quanto si scriveva sui giornali dell’epoca, commentati, in quell’anno 1862, da un poco noto autore. Dopo aver documentato e dato giudizi negativi sui così detti Piemontesi, che spadroneggiavano sulla nostra regione e degli Inglesi che predicavano bene, ma razzolavano male, come si evince dalle vicende rese note in più momenti, il nostro autore scrive:
“Piemontesi, e Inglesi bisogna conoscerli fuor di casa loro per saper quanto pesano, e quel che sono. Crescerebbe qui in volumi il racconto anche epilogato di tutti gli errori, e delitti dei nuovi padroni degli Stati italiani, massime nell’infelice Regno delle Due Sicilie”.
In appoggio all’affermazione si commenta il brano di un periodico: “In seguito, vi vien detto, delle note interpellanze del marchese Normanby sugli ultimi avvenimenti del regno di Napoli, il governo inglese si è deciso a comunicare al Parlamento alcuni dispacci dei suoi agenti a Torino, ed a Napoli”. In essi si riporta “una prova novella della parzialità degli agenti inglesi per la rivoluzione italiana”. In una lettera, di un non meglio identificato barone Valerio “datata da Cosenza, e diretta al console britannico a Napoli, sig. Bonham, in occasione del feroce proclama, e degli atti sanguinarj del maggiore piemontese Fumel”, precisa: “È costatato in questa lettera, che questo carnefice inviato dal governo sardo, ha fucilato a Bisignano nove persone; ad Acri, due; a Corigliano, una donna quasi decrepita; a Longobucco, quattro persone; a Crucoli, sei”. Oltre a questo si evidenziava: “ha inoltre distrutto le case di campagna, le capanne, i ricoveri per gli uomini, e gli animali, e gettato in carcere gran numero d’individui”.
L’autore della lettera fa propria la riflessione dei giornali francesi su quanto avveniva nelle terre dell’ex regno delle Due Sicilie: “È egli possibile, che l’Europa, la quale è intervenuta in Siria, in Turchia, e nel Messico, paesi lontani, e barbari, assista in silenzio a simili orrori, compiuti in mezzo a popolazioni, che le appartengono per i costumi, la religione, e le relazioni frequenti?”.
Uno dei giornali, ai quali si fa riferimento riportava “una edificante statistica, dalla quale risulta, coll’appoggio di documenti officiali, che durante l’anno 1861, le prigioni di Napoli hanno racchiuso fino a 12 mila detenuti politici, de’ quali quattromila donne, oltre ad un certo numero di fanciulli”.
La statistica, alla quale si fa riferimento, evidenzia, ancora, che nelle “quattordici province, i Piemontesi hanno posto in carcere non meno di 47 mila persone per cause politiche. Finalmente le fucilazioni uccisero più di 15 mila persone uomini, o donne, come reazionarj, e sospetti di amicizia pei medesimi”, ecc. ecc.
Che dire? Nessuno, a quanto ci risulta, smentì. Perché?
Ormai tutto è passato, ma non sarebbe bene rendere giustizia a chi ingiustamente, e ve ne saranno stati non pochi, hanno sofferto ingiustamente?
Si è preferito tacere per molto tempo e chi ne parla o scrive di questi orrori è detto “revisionista”. Chi vuole conoscere la verità di quegli anni rivede la favola, che gli è stata raccontata, e vorrebbe, inutilmente conoscerne la verità. Altro che revisionismo!
Giuseppe Abbruzzo