Scoprii la Poesia
Avevo da poco preso le vacanze, promosso dalla I in II elementare.
Raggiunsi i nonni, che estivavano a Cocozzello, allora la contrada era priva di strada, di luce elettrica, di acqua potabile. I primi giorni di quel mio arrivo furono caratterizzate da scorribande per i campi, inseguendo farfalle e grilli. Tutto, però, durò poco, perché il nonno aveva un suo preciso disegno.
Un giorno mi chiamò; aveva in mano un foglio, una matita, una gomma, un righello di colore nero a quattro facce, di quelli che servivano per tracciare delle righe. Pensavo che avesse bisogno d’un mio disegno, ma subito mi disse: – Devi rigare questo foglio -. Capii subito che non era cosa facile. Rientrai in casa col muso lungo e qualche lagrima in volto. La nonna, ah quella mia consolatrice!, me ne chiese ragione. Saputala mi disse: – Via, via non fare adirare tuo nonno -.
Il fatto è che a essere torturato ero io. Dopo il primo pianto silenzioso, mi cimentai nell’impresa. Dire che le linee andavano per conto loro in ogni direzione era poco. Quando presentai la fatica al nonno, con tono burbero disse: – Che porcheria è questa?… Cancella. Attento a non rompere la carta… Rifai -. Capii, allora, come il prigioniero sogni la libertà e il modo per ottenerla.
In quel caso, però, era oltremodo difficile. Mi disperai tanto e piangendo in silenzio mi addormentai sul foglio. Sognai uno che mi accarezzò il capo e, sorridendo, senza profferir verbo, mi fece vedere come risolvere quel grave problema. Mi svegliai ed eseguii il suggerimento. Il lavoro risultava perfetto. Il nonno al vederlo pensò che fosse stata opera di mia zia, che aveva dieci anni più di me. Diceva: – Questo non l’hai fatto tu -. Io protestavo e lui insisteva. Alla fine sbottò: – Allora fammi vedere come fai! -.
Feci vedere che posizionavo il righello sull’inizio del foglio tracciavo la linea, facevo scattare all’altra faccia, segnavo e così via. Mi guardò. Non mi lodò, come mi aspettavo, ma disse solo: – Può essere un buon metodo per rigare il foglio -. A quel punto mi mise davanti una pagina de L’Unità. Mi fece vedere una poesia. Mi disse che era di Carlo Alberto Salustri, ma che si firmava con l’anagramma del su cognome: Trilussa. Mi parlò del poeta romano. Mi disse che avrei dovuto copiare i versi:
Ormai me reggo su ‘na cianca sola.
– diceva un Grillo – Quella che me manca
m’arimase attaccata a la cappiola.
Quanno m’accorsi d’esse priggioniero
col laccio ar piede, in mano a un regazzino,
nun c’ebbi che un pensiero:
de rivolà in giardino.
Er dolore fu granne… ma la stilla
de sangue che sortì da la ferita
brillò ner sole come una favilla.
E forse un giorno Iddio benedirà
ogni goccia de sangue ch’è servita
pe’ scrive la parola Libbertà!
Scrissi attentamente, ma le mie sorprese non dovevano avere mai fine. Il nonno guardò la fatica e disse: – Imparala a memoria -. Mi sembrò che mi crollasse il mondo addosso. Azzardai: – Non capisco il romanesco -. – Tel lo faccio sentire io -. Non mi recitò solo i versi, mi fece una precisazione: – Prima di mandarla a memoria, della poesia devi capirne il significato… il contenuto. Devi seguire la punteggiatura -. E, giù una lunga lezione sulla punteggiatura. Appresi, allora, cosa era un inciso e tanto e tant’altro. Terminò col dire: – Quando reciterai i versi devi dire, per prima cosa, il titolo e il nome dell’autore -.
Cosa feci? Piansi, non davanti al nonno, ma rifugiandomi dalla nonna. Lei aveva una memoria di ferro e conosceva un’infinità di versi. Mi consolò dicendo, alla fine: – Non preoccuparti manderemo a memoria la poesia tutti e due -.
La notte sognai quel povero grillo. Ne avevo catturato tanti e me ne pentivo. La storia del grillo sembrava la mia, che mi sentivo prigioniero. Mi identificavo nell’animale e sacrificavo la gamba pur di riavere la libertà. Al mattino incominciai a ripetere quei versi, ad apprezzare quella storia narrata da Trilussa. Più la leggevo e più mi sembrava bella e interessante.
Quello che avvenne ve lo dirò successivamente.
Avevo fatto, però, una grande scoperta: la Poesia. Il merito era tutto del mio più grande Maestro, quel bizzarro nonno.
Giuseppe Abbruzzo
Meraviglioso!