L’impatto economico e sociale della pandemia
Le epidemie, nella loro evoluzione, si connotano per un andamento sostanzialmente multistep, caratterizzato da almeno tre stadi che si intrecciano ineluttabilmente tra loro poiché, a seconda del trend e dell’esito, positivo o meno di ognuno, dipendente il destino, in termini quantitativi e temporale, dell’altro.
Vi è una prima fase in cui la crisi si contraddistingue per la diffusione del virus, nella quale prioritarie sono le misure di confinamento e di tracciamento dei contatti.
Se questa fase fallisce, subentra lo stadio del trattamento ed intervento sanitario che, a seconda del sistema impattato, può determinare una grave modificazione, repentina o no, dello stesso.
In Italia, il Covid 19 ha messo in grave sofferenza l’intero sistema sanitario, laddove sono emerse le serie difficoltà della gestione assistenziale soprattutto da parte degli ospedali.
A quest’ultima, infine, consegue quella della crisi economica e sociale che può durare anche molti anni con esiti davvero incerti.
L’Independent Panel for Pandemic Preparedness and Response, un rapporto redatto da studiosi indipendenti sulla risposta dei leader mondiali al diffondersi del virus, commissionato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha evidenziato che nella gestione pandemica si è registrato un vero e proprio «cocktail tossico» di negazione, scelte sbagliate e mancanza di coordinamento, che ha fatto precipitare il mondo in una pandemia che «avrebbe potuto essere evitata».
Secondo il rapporto, una risposta internazionale, rapida e collaborativa, avrebbe potuto fermare la diffusione del virus, impedendo che il focolaio cinese del 2019 si trasformasse in una catastrofe globale nel 2020.
Inevitabili, sono stati gli effetti diretti sul sistema economico internazionale che ha registrato e registra ad oggi, vicende ed esiti diseguali, in ragione dei singoli sistemi nazionali, della loro solidità strutturale, dell’efficacia delle misure messe in campo per fronteggiar l’ondata epidemica.
Le analisi macroeconomiche a disposizione hanno accertato che l’economia mondiale, nel 2020, durante il periodo ed a causa del lockdown, ha conosciuto una parabola unica quanto eccezionale nella sua tendenza.
Nel primo trimestre dell’anno, il prodotto interno lordo mondiale (PIL), si è contratto in una misura mai registrata nella storia dell’economia moderna, con una media del – 6,9% per i paesi del G20.
Solo la Cina ha registrato un aumento del + 11,5%, dovuto al fatto di essere entrata prima nella fase di contagio del virus e quindi di controllo della sua diffusione.
Il terzo trimestre dall’anno, invece, allorquando le restrizioni si sono gradualmente allentate ed i governi nazionali hanno introdotto enormi stimoli fiscali e monetari, ha avuto la più netta ripresa mai riscontrata.
La strategia adottata dai governi, nel momento in cui la diffusione del virus sembrava sfuggire ad ogni controllo, è stata quella che gli economisti definiscono di “shock and awe” (dominio rapido), un mix di misure statali rese necessarie per evitare che il contagio si tramutasse in un crollo vorticoso dell’economia.
L’Unione Europea, ad esempio, ha sospeso nel marzo del 2020 il Patto di stabilità e crescita, accordo che lega i paesi membri al rispetto di specifici vincoli di bilancio statale.
L’unicità del fenomeno è consistita nel fatto che, in un’ordinaria e normale fase di recessione economica, non tutti i settori soffrono per effetto della crisi, laddove quello edilizio entra in contrazione mentre quello dei servizi reagisce con migliori risultati.
Il quadro macroeconomico internazionale invece, a causa dell’epidemia, ha avuto fluttuazioni negative ed estreme per gli interi settori, da quello produttivo a quello dei servizi.
Lo scenario è piuttosto raro, essendosi realizzato negli Usa solo tre volte negli ultimi 70 anni, nel 1973, nel 2008 e nel 2020.
Un utile confronto tra il continente europeo e quello americano può rendere intellegibile quale sia, ad oggi, lo stato delle cose.
Gli ultimi dati sull’andamento dell’economia tra le due sponde dell’Atlantico, mostra come si stia verificando un divario di crescita tangibile in termini di produzione interna.
Il gap è sostanziale, sol considerando che nel 2021 gli Stati Uniti si presentano in netta ripresa, Pil salito dell’1,6%, mentre nell’area euro la recessione è ancora forte, Pil diminuito del 0,6%.
Nel 2020, il Pil americano è sceso del 3,5% mentre in Europa del 6,6%. In Italia, uno dei paesi più colpiti, la riduzione è stata del 8,9%.
Quali i motivi del successo americano?
Il segreto del buon risultato americano è stato il pragmatismo e la rapidità con i quali la crisi è stata affrontata, laddove davvero poderose sono state le risorse economiche messe in campo. Solo Biden ha varato un piano di spese di 1.900 miliardi di dollari.
A questo approccio, si è aggiunta l’estrema flessibilità del mercato del lavoro d’oltreoceano che, diversamente da quello europeo, legato ad alti livelli di tassazione che finanziano la rete di protezione dei lavoratori in caso di disoccupazione, ha avuto un indice di maggiore perdita di posti di lavoro all’inizio della pandemia, -4,3%, ma ha recuperato prima rispetto all’area euro.
In Europa, invece, le misure adottate, non solo sono state di minore entità, 800 miliardi del Next Generation UE oltre allo strumento Sure per la perdita di lavoro, ma non hanno ancora del tutto e completamente conosciuto una concreta messa a terra da parte dei governi dei paesi membri.
La disoccupazione, nell’area euro, è scesa di meno rispetto agli USA, – 1,3%, grazie a strumenti quali cassa integrazione in Italia e di “job retention” degli altri paesi, misure che, se è vero hanno maggiormente garantito i lavoratori dipendenti rispetto a quelli autonomi e precari, sono riuscite comunque ad oggi a non far deflagrare il rischio economico e sociale derivante dalla pandemia.
I conti, comunque, dovranno e potranno essere fatti solo allorquando gli strumenti di protezione sociale verranno meno poiché, se non si innescherà un importante percorso di crescita dell’economia reale, legato all’aumento della domanda interna ed esterna, allora sarà difficile garantire adeguatamente le famiglie che si avvicineranno, ancora di più ed in numero maggiore, alla soglia di povertà.
Tracciando un rapido bilancio economico e sociale della pandemia da Covid 19, possiamo ipotizzare quali possano essere le conseguenze, a medio e lungo termine, per il sistema, effetti inevitabilmente legati, in termini sostanziali, alla natura degli interventi messi in campo e che saranno attuati dagli Stati.
Il Covid 19 ha confermato che le malattie epidemiche rappresentano una costante minaccia per il mondo e che, se non correttamente gestiti gli interventi, producono effetti disastrosi sull’economia e sulla società nel loro complesso.
Ma la storia ha anche dimostrato che le stesse crisi possono tratteggiare un’occasione di crescita e di progresso tecnologico e sociale.
Esse, in un certo qual modo, condizionano, per la loro intrinseca natura, il processo di sviluppo della società.
Come poi questo sviluppo avviene e si caratterizzata, dipende dalle scelte di fondo che i politici compiono ed attuano.
Se corrette, allora garantiscono un miglioramento delle condizioni generali, operando da meccanismo di trasformazione, ma se sbagliate determinano una pericolosa spirale di regresso e di recessione del sistema colpito dal contagio.
In prospettiva del mondo post Covid 19, un’azione collettiva, rapida e strutturale, con un cambio di paradigma nel quale la persona e l’ambiente che abita siano messi veramente al centro, potrebbe non solo contribuire a ridurre al minimo la probabilità di un’altra crisi globale prodotta da una pandemia, ma anche rappresentare un’opportunità per affrontare i problemi che hanno pregiudicato la crescita e la prosperità negli ultimi decenni.
Angelo Montalto