Torquato Tasso e Bernardino Sanseverino
Bernardino Sanseverino passò alla storia col nome di Prodigo. Secondo alcuni fu proprio la prodigalità a portarlo a una brutta fine.
Bernardino nacque da Pietro Antonio e Irina Castriota Scanderbeg, in Morano Calabro (CS), il 1° maggio1541. Morto il padre gli subentrò ancora giovane, tanto che la madre ne fu tutrice dal 15 settembre 1560 al 1564. Sposò Isabella Della Rovere Montefeltre, figlia del duca di Urbino.
Il neo-principe aveva ereditato una situazione finanziaria molto critica. Non fu solo questo, però, a portare il Sanseverino al dissesto finanziario. Va tenuto presente senz’altro “l’occhiuta e tutt’altro che benevola sorveglianza del governo, – scrive Giuseppe Galasso – il mancare ai propri impegni di coloro che avevano affittato le entrate dei Bisignano e la disonestà degli amministratori nominati in virtù dell’interdetto del 1589 a provocare il definitivo deterioramento della situazione” (Giuseppe Galasso, Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Milano, 1967).
Il povero Bernardino, per la sua prodigalità, ritenuto pericoloso per sé e per gli altri, fu relegato a Gaeta. La moglie brigava, perché voleva che, immediatamente, lo Stato passasse in mano al figlio, che morì, poi, bambino.
È inutile, però, continuare sulla triste vicenda del principe, che ancora presenta aspetti oscuri, che, fra l’altro, portò alla vendita di varie terre dello Stato “a lume di candela”, ossia all’asta.
Bernardino finì i suoi giorni nelle prigioni di Gaeta il 21 novembre 1606.
Abbiamo evidenziato tutto questo, perché fra quanti ebbero un segno della detta prodigalità vi fu il noto autore della Gerusalemme Liberata, Torquato Tasso (11.3.1544 – 25.4.1595). Si apprende dalla lettera seguente:
“Ringrazio V. Eccellenza del cavallo promessomi, ed avrei aspettato di render le grazie più compiutamente dopo il dono, se non fosse ch’io non dubito di porre alcun quasi freno alla sua liberalità, poiché a V. S. Illustriss. non è piaciuto di porlo alla mia confidenza. Le rimarrei con molt’obbligo per un mansuetissimo e picciol cavallo e bello, quanto si conviene alla mia condizione; perché s’io dicessi quanto si può aspettare dalla sua cortesia, o parerei troppo presuntuoso, o troppo cupido d’acquistarmi un amico senza suo comodo: e vorrei servirmene questa state o tornando a Napoli, o tornando; benché nell’un caso le sarei obbligatissimo, come fosse suo piacere; nell’altro, come ho deliberato. E le bacio le mani”.
Non sappiamo se il cavallo fu consegnato al poeta.
La lettera riportata, che non reca data, è, però, un interessante documento, che testimonia l’evidenziata prodigalità del principe.
Giuseppe Abbruzzo