All’età di 4 anni fui “assunto” nel Corpo Forestale
Vi sembrerà incredibile, ma fu proprio così.
Mio padre, che aveva militato nel Corpo Forestale dello Stato si era congedato con abbuoni, per avere prestato servizio, nella cavalleria, nella guerra 1915-18. Percepiva la pensione di 500 lire al mese, quando si cantava: Se potessi avere mille lire al mese.
Il 1940 fu richiamato in servizio e, senza accorgermene, mi trovai sballottato in un paese lontano dalla casa dove ero nato, dai compagni di gioco, dagli affetti più cari, fra i quali i nonni.
Quel paese si chiamava Verbicaro. Sembrava una perfida magia di qualche entità perversa, ma ero tanto lontano da Acri.
Scoppiò la guerra. Io, iperattivo, divenni un’autentica disperazione per mia madre. Ero sempre in giro e, un bel giorno si ebbe notizia che alcuni bambini avevano trovato una penna stilografica; l’aprirono e saltarono in aria: era una mina. La preoccupazione per il figlio girovago e imprevedibile divenne tantissima e alla mia ennesima sortita mi prese a sculacciate. La cosa che mi fece più male fu il sentirmi dire: – Tu non sei figli mio, sei figlio del diavolo; anzi, lo sai cosa ti dico? Sei il diavolo in persona! –
Presi tutto per vero. Avevo, in un giornalino a colori. la figura d’un diavolo. Mi osservai i piedi. I miei erano diversi; e, poi, non avevo la coda; non avevo le orecchie come quelle del diavolo. Se la mamma diceva in quel modo, però… Mi assalì il dubbio che non appartenevo a quella famiglia. Uscii sul pianerottolo e me ne stavo seduto, rannicchiato per terra. Così mi trovò mio padre, che mi rassicurò dicendomi che ero suo figlio. Mia madre dovette dirgli che era impossibile tenermi in casa e prima o poi sarebbe successa qualche tragedia.
Mio padre non solo mi rassicurò sul mio stato, ma mi comunicò che l’indomani avrei dovuto prendere servizio nella sua caserma, perché mi aveva assunto nel Corpo Forestale.
In quella caserma c’era, insieme a lui, una guardia, ma, non so perché, vi veniva raramente.
Così ebbi la scrivania e un acconto sullo stipendio: 20 centesimi, che mi servivano per comprarmi un gelato in un po’ di pausa nella giornata. Il resto, insieme alla divisa, della quale chiedevo con insistenza, me l’avrebbero dati col tempo.
Alle mie richieste il Comandante diceva che aveva scritto e mi avrebbero inviato tutto da Roma. Doveva spiegarmi tutto: un qualcosa che chiamava Ministero e la Capitale. I giorni passavano. Io lavoravo a sistemare, fra l’altro, alcuni tronchetti in ordine decrescenti verso un lato e l’indomani verso l’altro. Dovevo disegnare quello che vedevo, quello che mi colpiva. Ero sempre occupato. M’impegnò moltissimo la copiatura del mio diminutivo, in stampatello, perché dovevo firmare quei disegni: – Se no il Ministero non l’accetta -.
Un giorno accadde una cosa terribile. Fu lanciata una bomba, che per poco non centrò il paese. Per fortuna cadde in un vallone a un km circa dalla periferia. Bisognava montare la guardia, con lunghi turni tra carabinieri e forestali, che erano, fra l’altro, in numero ridotto.
Mio padre chiudeva l’ufficio e, io dovevo restare in servizio, ma a casa, perché avrei dovuto portargli da mangiare. Sarebbe stato più logico che l’avesse fatto mio fratello, che mi superava oltre due anni, ma io ero dipendente del Corpo Forestale e dovevo assistere il comandante. E, lui mi aveva istruito bene: dovevo percorrere circa un km, col recipiente, contenente il pranzo; arrivato a un ponticello avrei incontrato un carabiniere, che mi avrebbe imposto l’alt e chiesto di qualificarmi. Fatto questo avrei dovuto chiedere di chiamarmi mio padre. Tutto si svolgeva così. Il carabiniere, dopo, il consueto interrogatorio, come avvenne per alcuni giorni, mi diceva: – Siediti su questo muretto e non muoverti -.
Arrivava mio padre. Mangiava e mi raccomandava di rincasare senza fermarmi.
Passarono alcuni giorni. Finalmente la bomba fu fatta brillare con un rumore terribile. Malgrado la popolazione fosse stata avvertita si sentirono grida di spavento.
Ripresi servizio. Chiedevo della divisa e della paga. Quello che mio padre chiamava Ministero sembrava sordo. Il mio servizio durò fino al settembre del 1943. Mio padre, appena dichiarato l’armistizio, chiese di essere ricollocato in pensione. In ottobre ritornammo ad Acri, in modo avventuroso. Il Comandante non ebbe mai rivalutata la sua pensione come sarebbe stato giusto. Io ho aspettato invano la divisa e lo stipendio, finché capii che tutto era stata una trovata di mio padre.
Giuseppe Abbruzzo
Bellissimo racconto. Oggi sarebbe inverosimile, ma ieri era un modo per tener impegnato il figliolo e nello stesso tempo istruirlo all’obbedienza. Oggi probabilmente se facessimo una cosa simile i nostri figli si rivolgerebbero al telefono azzurro ed io andrei in TSO. Saluti