Quando le sarde si salavano in casa…
I centri storici dei paesi montani della Calabria (Acri, Bisignano, Longobucco, Bocchigliero, S. Giovanni in F., Rose, Luzzi, ecc.), quelli coi rioni più antichi fatti prevalentemente di modeste case unifamiliari a uno o due piani, con i coppi sopra i tetti e con piccole finestre a piano terra, si abbarbicavano sulle alture più impervie, ove l’unica strada carrabile veniva denominata Via Grande e le altre, più strette e pianeggianti (ma spesso consistenti in lunghe e tortuose scalinate di acciottolato), venivano ornate sia da vasi di begonie, di garofanini, di gerani o di bocche di leone sia da vasi di basilico, di prezzemolo o di rosmarino, sono ancora lì per non far perdere la memoria, per ricordare le nostre origini ma anche per riproporre antiche ritualità, usi e tradizioni uniche, manualità dure, maestranze esperte, sapienze secolari, peculiarità alimentari, specialità gastronomiche stagionali e annuali, ma anche sensibilità umana, spiccata socialità, condivisione di gioie e di sofferenze altrui, speranze e rassegnazioni collettive.
Un tempo si viveva con pochi mezzi in questi paesi e si badava a non sprecare il sovrappiù ma a conservare i prodotti che abbondavano, essiccandoli, salandoli o mettendoli sotto olio, sotto aceto o trasformandoli.
A quel tempo i vicoli venivano inondati dagli aromi della cottura dei sughi al basilico, delle patate fritte al tegame con cipolla o dalla preparazione delle insalate dell’orto con aglio e origano, e, quando alla domenica mattina, propagavano il ticchettio costante della mannaia sul tagliere per la triturazione delle carni.
A quel tempo i bambini trascorrevano i pomeriggi nelle “viarelle”, giocando o correndo per portare le notizie alla zia o alla comara prediletta o per chiedere qualche occorrente mancante in cucina della mamma. Al mattino era la voce del banditore che, dopo aver avvisato con la trombetta, annunciava la vendita di sarde, “rosa marina”, aguglie ed alici in piazza.
“Quanto costano?” chiedeva qualcuno. “Stamattina il prezzo è buono. Hanno portato tante cassette, le sarde sono pure grosse e potete salarle”. E si accorreva in piazza o in pescheria per avere qualcosa a pranzo o una cassetta di sarde da conservare col peperoncino rosso in un vaso di terracotta cilindrico (sadaturi), chiuso da una tavola circolare (timpagnu) e pressate dal peso di una pietra di fiume.
Durante l’inverno le sarde si toglievano dal vaso e si servivano nei piatti di terracotta dei vasai di Bisignano o di Grottaglie con molto olio di olive, cipollotti e fette di pane casereccio, accompagnate da qualche bicchiere di vino rosso.
Nelle campagne di Acri ci sono ancora famiglie che continuano la salatura delle alici, ma nei centri storici dei paesi montani della Calabria, questa specialità di mare si compra ormai nelle confezioni delle ditte conserviere e le voci dei bambini non riecheggiano più per le strette vie o per le scalinate in acciottolato.
Francesco Foggia