Ristori, dignità, disperazione.
Come tutti gli eventi collettivi, anche la pandemia si nutre di un vasto repertorio lessicale (ahimè quasi sempre importato dall’inglese) e di immagini.
Tuttavia vi sono gesti che si portano dietro un carico straordinario di significato, e per nulla scontato, in grado di penetrare più delle parole. In un anno ce ne sono stati tanti, e quasi sempre dettati dallo sconforto e dalla disperazione.
Ce n’è stato uno di recente che ha avuto la forza evocativa di un dardo infuocato in pieno petto. Quello di Chiara, 50 anni, che negli ultimi nove mesi è stata costretta a chiudere due locali, che dalla Toscana arriva a Roma per inginocchiarsi davanti ai poliziotti in tenuta antisommossa e chiedere aiuto.
Quegli uomini in divisa quella richiesta disperata di aiuto se avessero potuto l’avrebbero raccolta. Non era diretta a costoro, ma le riprese televisive l’hanno portato sui monitor dei veri destinatari.
E mentre i suoi colleghi chiedevano al Governo una data certa per la riapertura dei locali, che in questa situazione il Governo non può dare, Chiara rivolgeva a chi ci guida la richiesta più sensata: aiuti economici veri e immediati per le esigenze più elementari. Lei in un anno ha ricevuto solo 3200 euro, e mentre nella prima fase qualcosa è arrivata, dalla scorsa estate i rubinetti dei cosiddetti ristori sono stati inesorabilmente ed ermeticamente chiusi.
Anche per le categorie più esposte ( che strana bizzarria lessicale nella medesima radice: ristori e ristoranti).
Nella prima fase il Governo Conte fu un esempio nella prontezza della risposta a una catastrofe planetaria e riuscì a disinnescare un’autentica polveriera sociale. Dallo scorso autunno non è più stato così e qualcosa si è inceppato.
Il presidente del Consiglio dei Ministri è stato sostituito con quello che sarebbe dovuto essere il fuoriclasse del gol improvviso al novantesimo, quello in grado di tirare fuori dal cilindro l’effetto decisivo. Il Governo Draghi in realtà fa peggio quello che il precedente faceva meglio.
In questa fase non si può pensare che questa soluzione possa manifestare i suoi benefici nel medio e lungo periodo, perché ora l’unico periodo che ci interessa è l’oggi.
Quella polveriera sociale è stata nuovamente innescata e sta per esplodere: occorre agire e farlo subito, mettendo a chi è in ginocchio di rialzare la testa con la dignità di chi si è sempre fatto in quattro per garantire per sé e i propri cari quel minimo di benessere necessario a tirare avanti.
In questa insalata russa che è il Governo Draghi occorre fare appello al fondo sociale che alberga sia nella destra, che nella sinistra e che anche nei momenti più bui della nostra storia recente ha mostrato una certa affinità, pur nella contrapposizione ideologica.
Tempo qualche giorno e di Chiara in piazza in ginocchio ce ne saranno tante. In questo momento non si deve pretendere una data per il ritorno a un minimo di normalità, perché non sarà una cosa immediata, ma immediati devono essere gli aiuti veri, che non si possono ridurre ai benefici fiscali, perché non puoi pensare che la gente paghi le tasse se non può più nemmeno sfamarsi e sfamare i propri figli.
La storia di Chiara ci insegna anche un’altra cosa: la straordinaria umanità di un popolo che di difetti ne ha tanti, ma che non si tira indietro quando è chiamato ad aiutare chi è in difficoltà.
In questo anno, Chiara è riuscita a sopravvivere anche grazie alla pensione di invalidità della sorella e all’aiuto di amici che gestiscono, o meglio gestivano, una palestra, cioè un’attività chiusa da ottobre.
Piero Cirino