Dialogo con Padre Vincenzo Battaglia
Ho conosciuto Padre Vincenzo Battaglia qualche anno fa. È un insigne teologo italiano, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, professore ordinario di cristologia della Pontificia Università Antonianum di Roma, già Presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale. Di lui mi colpì subito quella serenità e quella forza pedagogica con la quale esercita il suo ministero sacerdotale. Da allora, ne è nato un bellissimo rapporto di amicizia personale e di confronto intellettuale sul mondo della fede. Ne abbiamo discusso insieme.
Padre Vincenzo, nel tuo manuale di cristologia, ti riferisci a Gesù Cristo come “luce del mondo”. Come dobbiamo intendere noi cristiani il vero senso della presenza di Cristo nella nostra vita?
Il titolo del mio manuale riprende una frase di Gesù, riferita dall’evangelista Giovanni: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Queste parole richiamano alla nostra attenzione alcuni versetti del prologo di questo vangelo. Gesù è il Verbo e Figlio di Dio: “in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; […] Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,4.9).
Tutti siamo consapevoli di quanto sia assolutamente necessario poter usufruire della luce per vivere. La luce è fonte di calore, di energia, di vita; ci permette di «vedere» e, quindi, di entrare in relazione, conoscitiva e affettiva, con gli altri, con il mondo, la natura, la realtà che ci circonda, le vicende che segnano il percorso della storia personale, familiare, sociale, mondiale.
Non si può stare «al buio», non si può vivere nelle tenebre. Non si saprebbe dove andare, cosa fare, come muoversi.
Il Signore Gesù si rende presente nella nostra vita tramite il dono della fede, che noi cristiani abbiamo ricevuto il giorno del battesimo come un seme che deve crescere, portare frutto e maturare fino alla pienezza della vita eterna. Il battesimo ci ha inseriti realmente in una comunione di fede, speranza e carità con il Signore Gesù, nella Chiesa e per mezzo della Chiesa.
La fede è luce, è la nostra luce; ci trasmette e infonde la verità che salva.
La fonte, la sorgente inesauribile di questa luce è il Signore Gesù, in comunione con il Padre nell’unità dello Spirito Santo. Gesù ci guida, ci parla, ci istruisce, veglia su di noi, sul nostro cammino. “Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre”, leggiamo sempre nel vangelo di Giovanni (Gv 12,46).
Egli ci dona la luce della fede. Ci illumina con la sua parola e con il suo amore, attirandoci continuamente a sé. Lo vediamo con gli occhi della mente e del cuore aperti, illuminati da lui presente in mezzo a noi. Per questo possiamo conoscerlo e accoglierlo. Lo possiamo incontrare e lui viene incontro a noi, specialmente quando partecipiamo alla liturgia con al centro l’Eucaristia, quando ascoltiamo la sua Parola, quando preghiamo, quando lo riconosciamo presente nei fratelli più bisognosi di aiuto di compassione.
Gesù ha cambiato la storia dell’umanità e le sorti del mondo. Come è possibile inserire l’evento salvifico di Gesù Cristo in un rapporto teleologico che coinvolga anche i non credenti?
Questa domanda pone l’accento su una questione cruciale: fa riferimento, in linea di principio, al dialogo, alla collaborazione tra credenti e non credenti. La collaborazione e il dialogo sono necessari, dal momento che abitiamo tutti nella stessa casa: abbiamo in comune la casa che è il mondo, di cui ci dobbiamo preoccupare, di cui dobbiamo aver cura. Ciò comporta l’impegno e la corresponsabilità nel favorire lo sviluppo di un “umanesimo integrale”, nel promuovere il progresso dei popoli secondo i valori della giustizia, della pace, della tolleranza e della fratellanza universale, nel prendersi cura della casa comune secondo quanto è richiesto dal programma dell’ecologia integrale. Papa Francesco sta insistendo molto, con il suo magistero, su questi obiettivi, su queste urgenze.
Sulla base di questa premessa, come coinvolgere i non credenti nel progetto salvifico che Dio ha realizzato e realizza in e per mezzo di Gesù Cristo, avendo la consapevolezza che l’edificazione del mondo, della città terrena, non è un’utopia destinata al fallimento, ma avrà un compimento e una pienezza garantiti dall’evento Gesù Cristo?
Tale coinvolgimento chiama in causa e richiede, prima di tutto, il dialogo a tutto campo sul senso e sul fine/sulla finalità dell’esistenza del mondo, dell’umanità e di ogni singola persona umana, la cui dignità è inalienabile, in quanto è dotata di una intrinseca vocazione soprannaturale. Un dialogo aperto a considerare anche la lettura della storia, del futuro del mondo e dell’umanità alla luce di un progetto, di una finalità che dipendono non dagli esseri umani esclusivamente – non siamo i padroni assoluti del mondo! –, ma dipendono in via originaria e in modo determinante da Dio, da Colui che è il Creatore, Datore della vita e Salvatore. Il mondo e l’umanità camminano verso la loro pienezza e il loro compimento, non verso la fine come distruzione, annullamento. Noi cristiani ne siamo certi a motivo di Gesù Cristo, il Signore Risorto, vincitore del male e del maligno, del peccato, della morte. E noi attendiamo la sua venuta nella gloria alla fine dei tempi, quando porterà a compimento la salvezza del mondo e dell’umanità.
La costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II insegna: “benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza per il regno di Dio” (n. 39).
La passione e la morte di Cristo si pongono in funzione redentrice dell’uomo. Noi Cristiani come possiamo rinnovare il percorso salvifico nella nostra dimensione umana e quotidiana?
Rispondo citando l’esortazione rivolta da Gesù ai discepoli durante il discorso di addio, prima di affrontare la passione. “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me […] Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15, 4. 9-10).
Siamo invitati a lasciarci conquistare giorno per giorno dal suo amore e a corrispondere al suo amore, senza avere la pretesa di fare grandi cose, ma restando fermi e saldi nella fedeltà a lui e alla vocazione che ha donato a ciascuno di noi.
Siamo suoi discepoli, lo seguiamo e ci mettiamo alla sua scuola e al suo servizio. Egli è il Maestro e il Signore, in assoluto. A mano a mano che la familiarità con lui si approfondisce con l’intensificarsi della vicinanza alla sua persona, giunge il momento in cui Gesù rivela la finalità ultima e il frutto impliciti nella sequela. Questo momento coincide con le ultime parole della preghiera rivolta al Padre al termine del discorso di addio riferito dall’evangelista Giovanni: “Padre […] io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17,26). Parole stupende, che riprendono e confermano quanto Gesù aveva detto in precedenza: “il Padre stesso vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio” (Gv 16,27).
Gesù Cristo il giorno della Pasqua risorge dalla morte e asceso al Cielo, siede alla destra del Padre. Con la resurrezione si svela la missione terrena del Signore e la volontà di Dio Padre. Tu sostieni che con la glorificazione e esaltazione di Dio, il Signore Gesù si trova a vivere un “rapporto nuovo” con l’umanità e l’intera creazione. Qual è questo nuovo rapporto e come possiamo riconoscerlo?
La risurrezione di Gesù Crocifisso dai morti è ed ha comportato la svolta definitiva del tempo e della storia verso quella pienezza e quel compimento di cui ho parlato prima. Gesù Risorto è e costituisce l’inizio dell’umanità e della creazione rinnovate in quanto sono state e sono liberate dalla corruzione del male e del maligno, del peccato e della morte e sono incamminate verso la perfezione finale. La novità del rapporto che il Signore Gesù vive con l’umanità e l’intera creazione va quindi pensata alla luce e in conseguenza della vittoria pasquale di Cristo sul male e sul maligno, sul peccato e sulla morte.
Il frutto della sua vittoria pasquale e la prova tangibile della sua Signoria universale è innanzitutto la Chiesa, inizio, germe e strumento del Regno di Dio. Quando parliamo di come possiamo conoscere il rapporto nuovo oggetto della domanda dobbiamo partire dal dato oggettivo che la Chiesa, noi cristiani, ne siamo il segno concreto e oggettivo, sia individualmente, sia come comunità radunata nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. La Chiesa è il Corpo di Cristo, segnato dallo Spirito Santo. Certamente, come risulta dalle risposte precedenti, noi cristiani siamo impegnati, in forza della nostra vocazione, a essere segno visibile ed efficace della novità di vita che proviene dalla Pasqua di Gesù Cristo. Essere segno visibile ed efficace significa mettere in atto un comportamento conforme alla regola di vita del Vangelo, orientato dalla adesione conformativa ai sentimenti e allo stile di vita di Gesù, sostenuta dalla consapevolezza che la conversione è un impegno permanente, al fine di rispondere alla vocazione alla santità che non è riservata da Dio a pochi eletti, ma è rivolta e donata a tutti.
Segni visibili e concreti del nuovo rapporto del Signore Gesù con l’umanità e la creazione sono il dono dello Spirito Santo, i mezzi di salvezza di cui la Chiesa è stata da lui dotata, con al centro l’Eucaristia; poi l’evangelizzazione, l’apostolato, la testimonianza che, in non pochi casi, è messa in atto fino al martirio, le opere di carità e di misericordia, le iniziative culturali e formative. Tra i segni visibili e concreti vanno tenuti presenti anche le vicende esemplari di tanti uomini e di tante donne che la Chiesa ha riconosciuto e riconosce come beati e santi. In molti casi sono persone che hanno fondato ordini religiosi (pensiamo, per esempio, a San Francesco d’Assisi) e hanno promosso movimenti di profonda riforma e rinascita spirituale. Senza dimenticare i santi «della porta accanto», le testimonianze di carità e santità eroica date da tanta gente umile, semplice, dalla fede robusta e dalla spiritualità encomiabile.
Non vanno disattesi poi quei segni concreti che rispondono e corrispondono alle nuove sfide e alle nuove situazioni di emergenze e di necessità cui l’umanità, e la Chiesa, devono far fronte. Pensiamo alla pratica del dialogo interculturale e interreligioso. Pensiamo al grande sforzo che si sta portando avanti in ogni parte della terra per combattere l’epidemia da Covid -19 e che vede accomunati scienziati, esperti e volontari di ogni razza e di ogni credo.
Un’ultima domanda. Da teologo che significato e funzione dobbiamo dare alla preghiera?
Rispondo a cominciare da un testo tratto dal vangelo di Marco. “Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un pò”. Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte” (Mc 6,30-32).
Non sono poche le volte in cui Gesù ci invita, ci chiama ad andare lontani dalla folla, dalle troppe attività, dai “molti servizi” (Lc 10,40). A causa dei molteplici impegni e doveri, spesso gravosi e non privi di preoccupazioni, angosce, affanni e sofferenza, e non di rado avari di soddisfazioni, “non abbiamo neanche il tempo di mangiare” (Mc 6,31). E neppure di nutrire lo spirito, di curare la vita spirituale. Ci sono giorni e situazioni in cui non abbiamo tregua. Non abbiamo il tempo di pensare a noi stessi, di preoccuparci/occuparci di noi stessi per occuparci di Dio, per dare spazio e tempo alla preghiera.
“Riposatevi un po’”, ci dice Gesù. Siamo invitati a riposarci. Ci raccomanda di riposarci. Ma cosa significa? Se andiamo a fondo di questo invito, e se, soprattutto, volgiamo lo sguardo sul comportamento di Gesù, il quale era solito ritirarsi nella solitudine per pregare –i racconti evangelici sono pieni di informazioni sulla preghiera di Gesù! – allora la riflessione ci fa passare dall’ambito, legittimo certamente, del riposo mentale, psicologico e fisico, all’ambito del riposo spirituale.
Così, mentre ci ritiriamo in disparte, costatiamo quanto sia fecondo l’incontro con il Signore Gesù, il quale, avendoci attirati in un luogo deserto, parla al nostro cuore e ci dona la sua Parola e lo Spirito Santo. Allora, nel tempo e nel contesto della preghiera è indispensabile, vitale, cercare il silenzio e fare silenzio dentro di sé, per favorire il raccoglimento. Rientrare in sè stessi per fare ordine nei propri pensieri, affetti e sentimenti, per andare incontro al Signore che viene nella nostra interiorità, di cui vuole prendere possesso ogni giorno di più.
Ripeto: riposarsi un po’. La quiete garantita dal silenzio, dal ritirarsi in disparte ritagliandosi del tempo per sostate in preghiera, per mettersi in ascolto di Dio, facendo tacere tante nostre parole e tanti nostri ragionamenti che sono dei soliloqui a volte sterili. La pace della solitudine abitata dalla preghiera. La preghiera fatta insieme a Gesù, in comunione con lui e grazie a lui, il Signore, sotto la guida dello Spirito Santo.
Grazie Padre Vincenzo dei tuoi preziosi insegnamenti di fede.
E come ami dire tu, pace e bene.
Da noi, auguri a tutti di una buona Pasqua di resurrezione.
Angelo Montalto