Minoranze

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Sono circa 9,8 milioni i bambini e gli adolescenti in Italia. Questo vuol dire che solo il 16,2% della popolazione ha meno di 18 anni. Le società occidentali, ma in misura decisamente maggiore quella italiana, sono da decenni interessate dal fenomeno della denatalità che corrisponde dall’altra parte a un progressivo invecchiamento della popolazione. In Italia siamo dentro un doppio e opposto fenomeno: da un lato l’allungamento della vita e dall’altra la riduzione della natalità.

La piramide delle classi d’età per l’Italia negli ultimi anni si è deformata. La sua base, rappresentata dalle generazioni più giovani, si è andata assottigliando sempre di più mentre si è allargato il numero di persone appartenenti alle fasce d’età tra i 40 e i 60 anni. La riduzione del numero dei minori è iniziata negli anni 80 quando un quarto della popolazione aveva meno di 18 anni: da quel decennio la quota dei minori è scesa di 10 punti percentuali. Si tratta di un fenomeno che interessa, seppure in maniera diversa, molti paesi europei ma l’Italia ne ha il primato e le regioni del sud d’Italia sono quelle che risentono in misura maggiore di questa diminuzione.

I baby boomer (gli appartenenti al boom dei bebè che ha interessato i nati tra la metà degli anni 40 e la metà degli anni 60) avevano notevolmente contribuito all’aumento di domanda di beni di consumo, avevano stimolato la crescita economica, avviato la società di massa e aperto le porte all’istruzione per tutti. Si trattava di individui cresciuti in un’epoca di grande sviluppo e benessere economico e oggi sono proprio quelli che numericamente sono il maggior numero nel complesso della popolazione.

Subito dopo la II guerra mondiale la natalità è crescita moltissimo, dopo la grande crisi si sono imposte importanti spinte vitali ma non sarà così questa volta. L’attuale crisi è iniziata da troppo tempo e la pandemia è solo l’ultimo trauma per il nostro sistema sociale e economico. La denatalità è un fenomeno complesso e come tutti i fenomeni complessi ha molte cause, non tutte lineari e spesso anche in contraddizione tra loro. Oggi i figli arrivano solo perché si decide e si pianifica di farli, non arrivano più in modo “spontaneo”. La contraccezione ha educato (le donne per prime) a gestire la vita riproduttiva con maggiore consapevolezza. Le giovani coppie quando decidono di avere il primo figlio non sono più così giovani, quindi spesso (quando si sentono sufficientemente pronti per farlo) si fermano al figlio unico. Le giovani donne, molto più istruite di decenni addietro, non antepongono più la maternità alla propria realizzazione professionale e i giovani uomini non sono subito pronti a divenire padri, anche perché essere padre oggi richiede coscienza piena della parità dei ruoli: quanti giovani uomini italiani sono realmente pronti per questo? Quale sia il numero al sud di certo è ancora di meno. Alla diminuzione drastica delle nascite corrisponde un crollo dei matrimoni (soprattutto quelli religiosi) e decidere di avere un figlio si carica di grandi responsabilità. Ma non è così ovunque in Europa.

Il welfare dei paesi del nord d’Europa consente alle coppie giovani di raggiungere titoli di studio superiori, salvaguardare la parità tra i generi, conciliare vita e lavoro per le donne, e per le coppie decidere di avere più di 1 figlio.

Evidentemente oggi le nostre giovani generazioni rischiano di più: molti di loro decidono di andare in altri paesi (per studiare e lavorare), se restano in Italia fanno i conti con questioni troppo più grandi di loro e rispetto ai loro genitori e nonni baby boomer devono accontentarsi di molto meno. Si tratta di minoranze che devono tornare a contare!

Negli ultimi giorni si parla di voto ai sedicenni, di reddito per i diciottenni e di riconoscimento della cittadinanza per bambini e giovani delle seconde generazione. Ecco, si tratta di tre cose che farebbero di questo nostro un paese dove ricominciare a sentirsi vivi. Facciamolo diventare un paese per giovani. Sono sempre le minoranze ad aver cambiato il mondo.  

Assunta Viteritti

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