Alcuni esempi di fulgida poesia dialettale
La poesia dialettale – quella vera, autentica, immediata – ci ha sempre colpito per la sua capacità di imprimere nella mente e nell’animo del lettore sentimenti profondi e autentici.
Caduto definitivamente il pregiudizio di considerare la poesia dialettale come prodotto rozzo e scadente, incondito e di nessun valore culturale, si tratta ora di rivolgere l’attenzione a un capitale culturale ingente. Tra gli interpreti più alti della poesia dialettale nella nostra regione, ci piace richiamare il nostro Angelo Serra, il poeta contadino, che ha incarnato nel secondo dopoguerra gli ideali più puri dell’antifascismo e della Resistenza. Del poeta contadino di Gioia ci siamo già occupati nella nostra rubrica dedicandogli un articolo.
Oltre a Serra, a nostro giudizio, meritano di essere ricordati Pasquale Creazzo da Cinquefrondi (1875-1963) e lo scalpellino mastro Bruno Pelaggi.
Tanto Serra che Creazzo, e tanti altri poeti dialettali ‘senza lettere’, esprimono con immediatezza solo la fiamma del loro ideale .
Di Pasquale Creazzo ci piace riproporre alcuni passi di una delle sue liriche più note. Particolarmente efficace e intriso di impegno civile risulta il dialogo tra “La zappa e la sciabola”, oggetti che assurgono a emblemi universali di pace e di guerra. Con aria di superiorità la sciabola vituperava la zappa:
No mbi ca feti a pesti di fumeri,
di terra e porcaria chi sai nchiappari?
lordazza, esci di jocu ca no mmeri
di latu a nu strummenti militari!
La zappa, senza scomporsi, risponde per le rime:
Lu vi, pettìa sta casa è ruvinata;
spitu de mpernu, facci de gucceri,
mpama, spaccuna, brutta sbuccazzata,
vatindi tu de cca ca tu non meri.
Tu feti di peccati di sassina,
tu lustri di doluri, chianti e guai,
di sangu tu si lorda chiina chiina,
e tu smerdiji a mmia pecchi zappai?
Undi t’appizzi tu lu beni peri,
peri le gioventù, e nun c’è chi fari,
ma und’io zappai la terra cu fumeri
nzumau lu megghiu juri di magiari…..
Di Bruno Pelaggi ci occuperemo in un altra puntata: la sua poetica non potrebbe essere riassunta in poche note conclusive.
Tutti e tre i poeti citati (Serra, Creazzo e Pelaggi) vanno ovviamente contestualizzati sempre nel loro tempo, quando avevano come ‘miti’, Francesco Spezzano, Fausto Gullo, Pietro Mancini, Gennaro Miceli, Messinetti, ecc. , i quali, pur sempre di estrazione borghese, segnati dalla rabbia delle carognate che il fascismo aveva impresso sulla loro pelle, incendiavano gli animi che sentivano a portata di mano la rivoluzione sociale. Tramontata la loro stagione senza che lasciassero una classe dirigente culturalmente preparata a portare avanti quegli ideali, che una nuova stagione della storia della presente umanità aveva già colpito a morte, siamo rimasti noi a leggere e ad entusiasmarci di quei versi che ancora sentiamo nostri. Ci è rimasta soltanto la memoria e l’ammirazione per quell’armonia struggente e irripetibile che davano ai loro versi, alle loro rime, mai incondite e volgari.
Massimo Conocchia