Giochi d’altri tempi: le figurine “Panini”
Negli anni ’60 la “Panini” uscì con una fortunata serie di figurine di calciatori, con le immagini degli interpreti delle varie stagioni. Si sarebbe trattato di una trovata molto riuscita, destinata a durare per un paio di decenni. Le figurine dei nostri “eroi” finirono per costituire un elemento essenziale del nostro quotidiano.
Raramente si riusciva a completare l’album; mancava sempre, a fine stagione, qualche esemplare introvabile ma questo non inficiava minimamente la nostra corsa quotidiana in edicola per acquistare almeno qualche bustina. Le figurine non servivano solo – e tanto – per completare l’album ma, soprattutto, come elemento fondamentale dei nostri giochi fra ragazzi.
I molteplici doppioni finivano per divenire merce di scambio fra di noi e, soprattutto, oggetto delle nostre piccole “bische”, nel corso delle quali le usavamo come posta per i nostri giochi. Fra quelli più gettonati, c’erano le “pezze” e i “coppetti”. Le prime consistevano, essenzialmente, nel mettere a terra un certo numero di figurine per ciascun partecipante e attraverso le cosiddette “pezze” (frammenti di pietre levigate, mattoni o altro materiale inerte) cercare di avvicinarsi il più possibile al cumulo di figurine posizionate a terra. Una sorta di variante del gioco delle bocce, dove il pallino era costituito dalle figurine e le bocce dalle “pezze”. Chi, lanciando la “pezza”, si avvicinava di più alle figurine, vinceva e portava a casa tutto il malloppo. I “coppetti” erano una variante più agguerrita, nella quale le figurine venivano piegate ad angolo retto e posizionate su un piano rigido (pavimento di casa, banco di scuola, tavolo, etc.). Con la mano piegata in maniera concava (coppetto, appunto), si agitava il braccio dall’alto in basso, facendo sbattere la mano concava sul piano: il movimento dell’aria così provocato determinava un conseguente spostamento delle due figurine posizionate; se queste si rovesciavano di 180°, finendo per capovolgersi, l’autore del gesto vinceva le figurine.
Rapportate ai giorni nostri, sono giochi che fanno sorridere per la loro semplicità. Occorre calarsi nei panni di bambini di 50 anni fa, dove le alternative e le possibilità di svago non erano infinite. C’era, però, entusiasmo e voglia di vivere, che ci portava ad amare lo stare insieme all’aria aperta. Se si stava in casa era perché si era in punizione o malati. La strada foggiava anche il nostro carattere, costringendoci a misurarci, spesso a scontrarci, non infrequentemente a confrontarci. Nascevano amicizie spassionate, come raramente sarebbe accaduto nel corso delle nostre esistenze, presi come siamo da corse sfrenate, interessi frazionali, ambizioni, che finiscono per divenire un ostacolo alla nascita di sani sentimenti. Quegli anni passati per strada hanno rappresentato la prima palestra nella quale abbiamo appreso i rudimenti della convivenza e della condivisione, ingredienti essenziali di cui, colpevolmente, abbiamo privato i nostri figli, troppo spesso relegati, negli anni della loro prima formazione, in stanze chiuse, davanti a computer o video giochi. Abbiamo dato loro un’immagine distorta della vita, fatta di solitudine e individualismo. Scelte scellerate di cui oggi cominciamo a vedere gli effetti.
Massimo Conocchia