L’emigrazione… e l’immigrazione?

Si è scritto e ho letto di emigrazione e dei vari risvolti connessi, ma non si è scritto – a quel che mi risulta – del rientro forzoso di emigranti, per motivi diversi.

Mio padre fu uno di quest’ultimi. Rimase orfano da ragazzo. Raggiunta la maggiore età pensò di emigrare in America, perché si diceva che là, nel Nuovo Mondo, vi fosse la possibilità di fare fortuna. L’unico lavoro, che riuscì a trovare, dopo un viaggio avventuroso – come raccontava -, fu nella costruzione delle strade ferrate. Il fisico non l’aiutava. Raccolti i soldi per il viaggio di ritorno rimpatriò.

Quanti, mi sono chiesto più e più volte, fiduciosi, come mio padre, di un futuro migliore sono stati costretti a fare ritorno in patria? Cosa soffrivano quegli immigrati? Solo mio padre aveva affrontato i tanti disagi di cui diceva sollecitato da me, per farmi raccontare quella sua esperienza?

Dopo tanti anni non posso più leggere a mio padre storie, disagi e tragedie di chi, come lui, rimpatriavano. Ne scrivo solo ora, nella pia illusione che in un’altra dimensione, come dicono, possa sentirmi e leggermi nei pensieri.

In un giornale napoletano del 1903 leggo dei disagi e degli inconvenienti che si verificavano “ad ogni straordinario arrivo di immigrati”.

Il giornalista racconta quanto ha potuto constatare; “i passeggieri sbarcati dal Nord America e dal Carpathia e quelli sbarcati dall’Hesperia aspettavano ancora, agglomerati dietro i cancelli del piazzale della Capitaneria, di essere messi in libertà e mandati alle loro case”.

Cosa succedeva? “Il servizio di dogana per tremila persone – precisa il suddetto -, tutte fornite di bauli e di casse, è affidato a non più di dieci o dodici guardie di finanza”. Queste dovevano non solo disimpegnare il servizio di dogana, ma anche quello di Pubblica Sicurezza. Tutto questo comportava immaginabili rilenti e disagi.

“E quella gente – considera il giornalista -, passa le intere giornate, dopo un faticoso viaggio di 15 o 17 giorni in una stagione inclemente (ndr si era in dicembre) che raddoppia le sofferenze del mare, in un’attesa che sfibra ed abbatte ogni entusiasmo del ritorno”.

A questo va aggiunto, si legge ancora: “che gli agenti della finanza, stanchi dell’immane lavoro, hanno naturalmente finito col perdere la pazienza dinanzi alla massa indocile e non guardano più che tanto ai mezzi per tenerla a freno”.

Siamo inorriditi difronte a tanti disagi e soperchierie documentate qua e là nelle varie testata.

La seguente notizia, purtroppo, supera ogni immaginazione, perciò la riportiamo integralmente: “Giunse in Roma proveniente da Pisa una carovana di immigranti dal Brasile, della quale facevano parte i coniugi Anna Nappa e Raffaele Caputo braccianti meridionali e un loro bambino Giovannino di 16 mesi nato in Brasile. Questo fanciullo, alla stazione di Magliano, morì per mancanza di alimento.

La carovana narra cose inaudite contro il commissariato dell’emigrazione specialmente nel Brasile, e nei porti italiani. Il fanciullo non sarebbe morto d’inedia se il commissario si fosse mostrato più umano!”.

Il grande Dante, trasferito a quei giorni, avrebbe fatto esclamare a qualche suo personaggio; “e se non piangi / di che pianger suoli?”.

Giuseppe Abbruzzo

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