Il problema del fine vita ai giorni nostri
La non facile fase che stiamo attraversando ormai da un anno ci ha indotto a riconsiderare molti aspetti del nostro quotidiano e ha rivoluzionato un intero sistema assistenziale, costringendoci a fare i conti con la sua sostanziale inadeguatezza. La pandemia ha assorbito buona parte delle energie di un sistema progressivamente ridotto in termini di prestazioni e assistenza. La presente stagione ci ha indotto, però, a rivedere anche molti aspetti della cura e in maniera particolare quelli che riguardano il fine vita. L’elevata mortalità, la modalità tremenda con cui questa avviene ai tempi del Covid, ci deve assolutamente indurre a considerare aspetti fino ad ora poco presi in considerazione. Ci riferiamo al modo in cui, soprattutto il medico, affronta la morte, il morire e, più in generale i temi inerenti il fine vita, siano essi di natura clinica o etica. Si tratta di tematiche e argomenti che, abitualmente, non fanno parte del background formativo del medico, in quanto, nel nostro Paese, le facoltà di Medicina non li includono nell’iter formativo del medico. Tutto è improntato esclusivamente sulla vita e sulle cure, ignorando che l’uomo è per sua natura mortale e, pertanto, il medico deve assolutamente essere preparato a gestire anche il fine vita e la morte, garantendo a chiunque che il trapasso sia il più possibile lieve e indolore. Altri Paesi europei sono molto più avanti rispetto all’Italia e possono contare su un apparato di supporto per il fine vita, adeguato e eticamente all’avanguardia. Bisogna partire dal presupposto che la medicina contemporanea, per quanto molto avanzata, non è sempre in grado di guarire. Con l’allungarsi della vita media, aumentano le patologie degenerative e croniche ma, soprattutto, ci sono ancora patologie di fronte alle quali ci tocca arrenderci. Per questi motivi, è necessaria una rete di supporto per il paziente che affronta la parte finale del proprio percorso di vita, in grado di garantire che lo stesso avvenga nella maniera più indolore possibile. L’emergenza pandemica in atto non sempre ci ha trovati pronti e col tempo necessario per curare questi aspetti. Quando ripartiremo, il ritorno alla normalità dovrà compendiare per forza anche una maggiore attenzione al fine vita, perché nessuno debba mai più ritrovarsi a morire in solitudine.
Si tratta, in definitiva, di recuperare aspetti troppo spesso ignorati, considerando che il risultato delle nostre battaglie possa avere esiti diversi da quelli sperati e perseguiti, di fronte ai quali il medico deve essere pronto a gestire momenti non facili, da quelli comunicativi a quelli operativi. La vicenda umana è caratterizzata da dei limiti: si nasce e si muore. La morte stessa da senso alla vita. Senza la morte, la vita non avrebbe senso. Quando Calipso offre a Odisseo l’immortalità purchè resti con lui nell’isola di Ogigia, lui rifiuta perché non vuole perdere il senso della vita. Le parchè che tessono e recidono il filo della vita sono quelle che, in definitiva, ne delimitano i confini.
In questo meccanismo, il medico – preso atto della impossibilità o inutilità delle cure – deve essere pronto a gestire ogni aspetto, comprese le ultime fasi, in modo da rendere la vita dignitosa fino in fondo. Il tutto al netto da qualsiasi rispettabilissima posizione sull’eutanasia, nella quale non ci addentriamo. Il nostro riferimento presente è esclusivamente verso una maggiore attenzione e cura della fasi finali, ineluttabili, della vita.
Massimo Conocchia