Paolo e… Il giardino delle delizie

In tempi normali non avrei avvertito il bisogno di scrivere due righe in seguito alla scomparsa di un caro compagno, altri lo hanno fatto prima e meglio di me.

Dalle mie parti, infatti, per richiamare alla memoria chi viene a mancare, solitamente ci si ritrova fra amici, con un fiasco di rosso, per snocciolare aneddoti e brevi racconti in bilico tra nostalgica angoscia e benigna ironia. Purtroppo, l’impossibilità di ritrovarsi “assembrati” ci ha tolto anche il sano “contagio” di una sacra e consolatoria inebriatura, nel ricordo di chi i brindisi e la compagnia li ha sempre saputi onorare. Innumerevoli, comunque, sono state le considerazioni fugaci, anche verbali, impiegate nel manifestare generale sconcerto e sincero smarrimento per la perdita di Paolo. A mio avviso, però, l’espressione più consona e conchiusa, quella più altamente appropriata alla triste occasione è stata borbottata da un anziano e solitario signore il quale, nel passare davanti alla farmacia, ha mormorato solennemente…: «È cumu si fussa cadut’umonumentu»!

Ovviamente, si riferiva alla statua di G.B. Falcone, una scultura posta nella Piazza adiacente che da più di un secolo vede transitare sotto il suo sguardo persone, animali, storie e mezzi di ogni genere e diversa campionatura. L’affermazione non deve sembrare retorica poiché, alla stregua del famoso patriota, Paolo ha rappresentato per tutti un monumento alla professionalità, alla generosità, alla disponibilità; un signore colto, dalla mentalità apertissima e dall’atteggiamento sempre in armonia tra genuina schiettezza e travolgente empatia. Anche perché, non solo per la chiazzae’du monumentu (appunto!), ma anche per la chiazza e’ di frutti, la farmacia Siciliano è stata sempre un preciso e costante riferimento per la comunità.

Che strano…! Ora che ci penso, gran parte del suo tempo si è snodato nel bel mezzo di queste due piazze, quali simbolidi vitalità sociale; mentre la sua esistenza si è aggrovigliata e poi spezzata appena fuori dalla sua spezieria, alla cadeat’a corda, facendolo “cadere” a metà strada proprio tra due monumenti: quello intitolato ad un giovane eroe e quello dedicato ai caduti (appunto!) che sono, invece, iconedi trapasso.

Ecco…! Un tono così querulo e lacrimoso lo avrebbe sicuramente fatto adirare, una cadenza tanto monotona Paolo l’avrebbe definita seccamente come “un vero scoglionamento”, una purga vischiosa e irritante, insomma un robusto clistere con indicibili controindicazioni ed effetti sonori fortemente indesiderati.

E allora cambio registro! Poiché, al di là del farmacista preparato e all’avanguardia, Paolo era un vero speziale d’altri tempi, nella cui “bottega” amalgamava abilmente, oltre a spezie e medicamenti, anche l’essenza dell’umore ed il balsamo dell’allegoria. Era un alchimista della satira e della metafora con le quali impressionava, nella massima discrezione e misura, i vizi, le virtù, i difetti, i pregi, le fisime, le ossessioni di una variegata umanità che aveva varcato il gradino della sua attività da quand’era fanciullo. Storielle, nomignoli, aneddoti dalle euforiche immagini estremizzate che davano vita a personaggi vaghi, surreali, inverosimili che spesso cuciva simpaticamente addosso agli amici più stretti e su sé stesso, allo scopo di stemperare il clima di un luogo nel quale aveva costantemente a che fare con le ansie, le preoccupazioni, le pene, le patologie, i dolori e le speranze di un’intera collettività. Era, in breve, un artista dei colori dell’ironia. Con parole, gesti ed espressioni dipingeva quadri di vita comune in cui affioravano scene di figure bizzarre, come quelle senza veli del Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch (cui spesso facevamo riferimento).

Ma, a pensarci bene, a chiazz’e di frutti, non è forse una sorta di rigoglioso orto urbano con scrigni ricolmi di ogni varietà di “delizie boschiane” quali ciliegie, fragole, mele, zucche, angurie, cetrioli, fave, piselli, etc?
E via Regina Elena, con i suoi vicoli, non è ancora un genere di giardino dove si incrociano esopiche forme animalesche simili a quelle miniate dal pittore fiammingo, ossia u’cavallu, marbizzu, u’cuviu, pudic, cuccu, cardillu, u’furmicunu, leone, u’ciarbu, u’cunigliu, cozza, etc; mescolate a comparse simboliche ed immaginarie, deformate ad arte dalla tradizione, che andavano da crozzadonga a coscialunga, da cuduruassua pinnancudu allu panzutu, da buttigliunu allu varridearu, e ancora cioncia, vuccaranna, formaduchhiu, caront, muracievuzu, pudcheanu, cucuzzunu,etc? Un “bioparco”, insomma, nel quale il vicino Municipio che sovrasta il Purgatorio non raffigura affatto il Paradiso, questo si trovava ancora più avanti,sempre a quel “primo piano” cantato da De Andrè. Dove un’insegna che recitava: “Il mago del taglio” finiva per essere associata, a discrezione, ora ad un macellaio, ora ad un sarto, ora ad un barbiere. Tutte misture di mitici e nobili figuranti di un bażàr mondano, cui si univaqualche folle, umile, allegro bevitore, biscazziere o treccartista. Un anfiteatro d’un tempo non molto lontano incardinato tra chianche, pescherie, putighe e cantine che in mancanza degli schizzi scenografici di Paolo rischia di serrare definitivamente i battenti.

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