Fra “quelli che sono rimasti ad Acri”, gli amministratori sono senza macchia?
L’avv. Angelo Montalto, nell’articolo “Restare o ritornare? Meglio essere”, fa una bellissima analisi socio-culturale sullo spopolamento dei paesi interni (“… Esistono, inoltre, i “cittadini rimasti” i quali, dotati, non di meno, di ingegno, capacità, volontà ed arguzia presentano un’energia tale da garantire uno slancio vitale per un percorso di rigenerazione necessitato dai tempi. E in questo contesto generale, pertanto, che si dovrebbe avere la forza ed il coraggio di innescare un “processo di rivitalizzazione circolare”, fatto da un’unione solidale tra chi è partito e chi è rimasto…. Si tratta, ovviamente, di un equivoco di fondo che però dovrebbe far riflettere sulla cautela del come atteggiarsi nelle relazioni collettive ed individuali. … Forse un impegno sul bene comune, sorretto da virtù quali rispetto, umiltà, cooperazione, riconoscimento reciproco di tutte le multiformi potenzialità servibili, per la realizzazione di progetti concreti, di valore, misurabili, potrebbe essere la soluzione al dilemma. Potrebbe.”), stimolato, senz’altro, dalla discussione nata fra i cittadini di Acri per un manifesto pubblico riportante la frase “qui se ne sono andati tutti, specialmente chi è rimasto”.
L’analisi è ampia, autonoma e svincolata dai temi della reazione accesa degli acresi alla “provocazione” che hanno subito, ma soprattutto risulta rispettosa delle comunità dei paesi interni (Acri, Altavilla, Padula, Sala Consilina) alle quali è stata imposta l’iniziativa.
Penso che, in una discussione pubblica, l’autore della frase esposta ad Acri non possa aggiungere altro all’ampia riflessione dell’avv. Angelo Montalto, nemmeno ad escludere da ogni critica coloro che sono rimasti per motivi di lavoro (vigili del fuoco, insegnanti, impiegati ed operai dei servizi, carabinieri, ecc.), e men che meno a pensare di coinvolgere il sindaco e gli amministratori di questi paesi, che, pur proponendosi di amministrare le proprie comunità, non sono stati capaci né di affrontare le ataviche problematiche dei luoghi, né di lenire i bisogni di primaria importanza degli abitanti rimasti (sanità, fornitura dell’acqua potabile, viabilità, raccolta RSU, ecc..).
Mi auguro che la lettura del manifesto possa spingere gli amministratori a trovare le ragioni dell’abbandono dei loro territori e a riflettere sul proprio ruolo, su ciò che hanno promesso, su quanto realizzato e su quanto avrebbero dovuto!
Lo spopolamento delle rispettive comunità chiama gli amministratori comunali a grosse assunzioni di responsabilità.
Francesco Foggia