A proposito della riflessione di Franco Arminio…
Senza volere minimamente entrare nelle polemiche di questi giorni a proposito della riflessione di Franco Arminio, vorrei provare, umilmente, a fornire una chiave di lettura diversa.
“Migranza” ed “erranza” sono due aspetti della stessa medaglia, frutto di una condizione sociale ed economica carente, che impone a tutti scelte difficili. Difficile è decidere di partire, altrettanto lo è il restare: entrambe queste scelte di vita impongono sacrifici e rinunce. Grande rispetto a chi è rimasto e a chi ha deciso di lasciare i nostri monti e con essi affetti radicati.
Tutto ciò premesso, riteniamo che il messaggio contenuto nella riflessione di Arminio si presti a più chiavi di lettura. Personalmente, proponiamo la nostra, che vede in quella espressione una provocazione (come, peraltro, acutamente suggerito da Franco Bifano) e un ossimoro, che indica nella necessità di un recupero armonioso delle due componenti – chiparte e chi resta – la via per una ripresa e un riequilibrio. L’invito a tornare rivolto a chi è partito è visto come necessità anche per chi è rimasto. Gioverebbe ad entrambi. Chi è partito, farebbe finalmente pace con se stesso e con i difficili compromessi che lo hanno indotto a rinunciare ad affetti e tant’altro. Chi è rimasto, a sua volta, si sentirebbe meno solo e spaesato. Nel recupero di entrambe le componenti è vista la chiave di volta per una rinascita, che abbisogna di tutti. In quell’ossimoro è contenuto un messaggio rivolto a tutti e, in fondo, una via d’uscita da una condizione esistenziale che priva entrambe le parti di qualcosa, il cui recupero è essenziale.
La riflessione del poeta lucano ci ha riportato alla mente un altro grande poeta che era bravissimo a giocare con gli ossimori, Giorgio Caproni (Livorno 1920 – Roma 1990), tra i più grandi interpreti, a nostro modo di vedere, del secondo Novecento, capace di cogliere le contraddizioni della società moderna e la difficoltà della scrittura e della poesia nell’interpretare una realtà sfuggente e assurda. Tra i vari ossimori di Caproni, proponiamo uno dei più belli, “Biglietto lasciato prima di non andare via”:
“Se non dovessi tornare,
sappiate che non sono mai partito.
Il mio viaggiare
E’ stato tutto un restare
Qua dove non fui mai”
Non nascondiamo che si tratta di uno stato d’animo nel quale ci identifichiamo e che riesce a rendere appieno la condizione di apolide di chi ha deciso scientemente di partire. Se un giorno dovessimo scegliere un’epigrafe per la nostra tomba, non esiteremmo un attimo a scegliere questa poesia di Caproni.
Nel pieno rispetto dei sentimenti “dell’errante” e del “restante” – condizioni esistenziali entrambe difficili e che richiedono coraggio -, abbiamo solo voluto provare a fornire una chiave di lettura differente, senza pretendere, ovviamente, di avere la verità in tasca ma invitando a un momento di riflessione collettiva su come è stata ridotta la nostra terra e sui sacrifici conseguenti imposti ai suoi figli.
Massimo Conocchia
Caro Massimo, credo che tu abbia colto proprio nel segno a proposito dell’odio-amore per i propri luoghi natii, a parte il fatto incontrovertibile che i poeti non possono in alcun modo essere censurati e condannati con l’ostracismo, tipico dei regimi più odiosi che tanti lutti hanno sempre arrecato all’umana gente! vincenzo rizzuto
Egregio Professore, la ringrazio per il suo contributo, che sottolinea e mette in risalto un aspetto importante. L’esule, in realtà, non ha mai pace e, spesso, non per il mancato soddisfacimento dei bisogni essenziali ma per quel distacco che, nella vita, non riesce mai veramente a colmare. D’accordissimo, peraltro, sulla inopportunità di censura nei confronti dei poeti e di chiunque esprima, con versi o con parole, stati d’animo ed emozioni, su cui si può convenire o meno. Un caro saluto e ancora grazie, Massimo.