Nell’anniversario della nascita di Virginia Woolf
Virginia Woolf nacque a Londra il 25 gennaio 1882 da Leslie Stephen, acclarato storico, critico letterario, editore, e da Julia Prinsep, modella di molti pittori dell’epoca. I suoi genitori avevano già diversi figli più grandi, nati da matrimoni precedenti.
Il mese dopo, il 2 febbraio dello stesso anno nacque a Dublino James Joyce.
Virginia trascorse parte dell’adolescenza con sette fratelli e sorelle, alcuni dei quali acquisiti. Un’adolescenza difficile, durante la quale subì violenze da parte dei suoi fratellastri: “Anni da schiava greca” scriverà lei stessa nei diari alludendo alle molestie subite, che probabilmente scateneranno i suoi disturbi maniaco-depressivi, gli sbalzi d’umore, l’insonnia. I biografi di Virginia Woolf parlano di un disturbo bipolare, aggravato dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale e la distruzione della sua amata casa a Londra. Da questa situazione di profonda depressione l’autrice non uscì mai e il 28 marzo del 1941, indossò il suo cappotto, si riempì le tasche di pietre e si gettò nel fiume Ouse mettendo fine alla propria vita a soli 59 anni.
Due mesi prima, il 13 gennaio era morto James Joyce.
Vi invito a vedere l’ultimo struggente fotogramma del film The Hours del 2002 diretto da Stephen Daldry in cui una straordinaria Nicole Kidman interpreta Virginia Woolf (premiata con l’Oscar alla miglior attrice).
Prima di uscire di casa scrisse un’ultima lettera al marito Leonard, in cui diceva:
“Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo passare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Non posso più combattere. Vedi, non riesco neanche a scrivere come si deve. Non riesco a leggere. Tutto se n’è andato da me, tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere più felici di quanto lo siamo stati noi.”
La più grande scrittrice del Novecento non amava Joyce e non lo incontrò mai.
Oltre a lamentare spesso di avere buttato cinque scellini acquistando l’Ulisse di Joyce, scrisse su di lui parole non proprio encomiabili:
«Oh che fastidio Joyce! Proprio mentre stavo dedicandomi a Proust. Ora devo mettere da parte Proust e il mio sospetto è che Joyce sia uno di quei geni non partoriti, che non si possono trascurare, o costringere a tacere, ma che si devono aiutare con grande fatica personale…Opera noiosa e irritante di un nauseabondo studente universitario che si gratta i brufoli”.
Come mai Virginia Woolf liquidò in questo modo Joyce?
Credo, umilmente, abbia fatto una leggerezza, un errore di valutazione.
Capita anche ai grandi.
L’Ulisse è un libro difficile ma straordinario quanto le Onde di Virginia Woolf col quale fra l’altro condivide a mio avviso molti elementi.
Esempio: nel terzo capitolo de l’Ulisse il protagonista Stephen Dedalus cammina sulla spiaggia di Sandymount mentre rimugina sui concetti di al “Nacheinander” e al “Nebeneinander” lessinghiani. Il ritmo delle onde è un basso continuo che accompagna i suoi bizzarri pensieri.
“Le brezze gli caracollavano intorno, brezze mordenti e frizzanti. Eccole le onde…”
Nel primo capitolo di Le onde di Virginia Woolf le onde sono le protagoniste indiscusse assieme alla casa sul mare, al giardino, alle sedie, allo specchio.
Sono tanti gli elementi che accomunano le due opere, come il flusso di coscienza, talmente serrato, intenso, tachicardico da chiedersi “chi dei due ha copiato dall’altro?”
In entrambe le opere, la tensione verso il sublime e l’armonia è continua, e per quanto inattuabile offre tuttavia un’esperienza fuggevole e momentanea, capace di illuminare temporaneamente l’esistenza, contro il caos e l’assenza di senso.
Ringrazio infinitamente Virginia Woolf e James Joyce per avermi fatto viaggiare verso il sublime.
Libri citati:
Joyce James, L’Ulisse, Milano, Mondadori, 1981.
Woolf Virginia, Le onde, a cura di Nadia Fusini, Torino, Einaudi, 2014.
Aurora Luzzi