“L’Italia. In crisi”
In Italia aleggia da sempre l’uso di un sostantivo evocativo di uno stato di precarietà ed insicurezza. E’ un mantra costante che connota la vita, collettiva ed individuale, di tutti i giorni: la crisi.
E cosi abbiamo la crisi amorosa, la crisi matrimoniale, la crisi di valori, la crisi derivante da malattie, la crisi di pianto, la crisi isterica, la crisi spirituale, ecc.
A differenza però delle crisi di questa natura, guaribili o quantomeno lenibili con un efficace e corretto apporto curativo, esistono delle crisi che coinvolgono costantemente ed ossessivamente le nostre esistenze.
Queste ultime, sembrano non avere alcun rimedio.
Sono le crisi istituzionali e politiche che producono, come effetto, quelle economiche e sociali.
In questo contesto, infatti, la crisi sembra avere assunto le vesti di un personaggio quasi mefistofelico che ha rapito, da tempo, sottraendolo al suo processo di sviluppo, il sistema, ingabbiandolo in un recinto stretto in cui non pare avere spazio di manovra: si muove con margini ridotti ed in assenza di una visione del futuro.
Onestamente, accantonata la metafora, credo invece che la crisi esista perché è voluta dai soggetti che la provocano.
Essa rappresenta il più valido strumento di garanzia per la perpetuazione del potere politico individuale. Di fatto, se le cose non vanno come dovrebbero andare, allora si apre una crisi.
Come poi la stessa si risolve, non è dato sapere e comprendere: potrebbe trovare una sintesi in continuità di governo, magari con maggioranze variabili, oppure portare alle elezioni, quest’ultima opzione ovviamente rare volte.
La crisi rappresenta, quindi, secondo le intenzioni di chi la prepara, la cura al male. Peccato però che essa stessa è il male, non la cura valida e necessaria.
In termini semantici, infatti, il sostantivo indica, per sua intima natura e per suggestione di teorie positivistiche, uno squilibrio traumatico e più in generale, uno stato più o meno permanente di disorganicità, di mancanza di uniformità e corrispondenza tra valori e modi di vita.
Questo stato, evidentemente, ai governanti non interessa.
A loro piace trovare un equilibrio di potere, che garantisca una presunta governabilità, che soddisfi le anime e gli istinti politici che, insomma, dia un senso all’esercizio delle funzioni pubbliche, come loro le intendono. Cosi, per superare le crisi, affiorano le più disparate alchimie politiche istituzionali come governi di coalizione, tecnici, di unità nazionale, del presidente, persino balneari.
Tutto è ammesso affinché tutto si perpetui.
In questo gioco alla “crisi stabile”, ci si avvale a piacimento delle regole istituzionali e normative, rigide nelle parti in cui si conviene utile, vedi l’assenza del vincolo di mandato degli eletti, ma cangianti e mutevoli nel tempo nelle parti strumentalmente idonee alla soddisfazione della garanzia, vedi la legge elettorale.
Un dato mi ha sempre colpito.
Nella nostra storia, l’Italia ha conosciuto, dal I Governo militare Badoglio, 25 luglio 1943, ad oggi, ben 72 governi.
Una media quindi di quasi 1 governo all’anno.
Evidentemente, la crisi produce i suoi effetti perché, nel tentativo di superamento del problema, ricompone gli equilibri secondo i desiderata degli attori in scena.
A questo punto la domanda nasce spontanea. Come si potrebbe risolvere il problema?
Questo è un interrogativo di non poco conto, non facilmente affrontabile nella sua compiutezza in questa sede, perché meriterebbe uno sforzo intellettuale e tecnico enorme, sicuramente sottratto alle mie modeste capacità.
Però, ho una mia idea.
Il presupposto legittimante di ogni governo, dal e dopo il voto degli elettori, risiede nell’esigenza di garantire la “governabilità”, condizione a cui risulta funzionale la stabilità del quadro politico.
Detto stato, infatti, permette di affrontare, con la forza dei numeri, l’attuazione del Programma stabilito dai partiti e votato dagli elettori.
Lo strumento essenziale per simile obiettivo è la “legge elettorale” che determina, con i suoi meccanismi, la composizione politica delle Istituzioni rappresentative.
A ben vedere, però, è stata proprio la legge elettorale, negli anni, ad aver garantito gli interessi all’instabilità voluta.
In Italia si discute sistematicamente, della necessità di una “nuova legge elettorale” poiché i partiti, da sempre, dopo avere utilizzato quella per la quale sono stati eletti i rappresentanti, ripudiano il figliol prodigo con un atteggiamento quasi innaturale, quanto illogico
Ritengo, personalmente, che per soddisfare l’obiettivo della governabilità in Italia si debba varare una legge elettorale maggioritaria, a turno unico, con vincolo di coalizione, modificando l’art. 67 della Costituzione.
Tradotto in termini concreti.
I partiti presenti nel panorama politico, formano una coalizione, basata su un Programma di legislatura, che si presenta alle elezioni, con l’indicazione del Premier.
Alla coalizione risultante vincente anche con un solo voto, viene assegnata la maggioranza dei seggi al Senato ed alla Camera.
Nell’ipotesi in cui una forza politica esca dalla coalizione, facendo mancare la maggioranza formatasi, il Presidente del Consiglio dei Ministri deve dimettersi ed il Capo delle Stato deve sciogliere le Camere indicendo nuove elezioni.
Nel caso, invece, in cui un Senatore o un Deputato cambi schieramento politico, lo stesso decade dalla carica e viene sostituito dal secondo eletto.
E veniamo all’attuale crisi del governo Conte bis.
Ho sempre pensato e sostenuto che il governo Conte bis rappresentasse la manifestazione politica di un esperimento destinato alla crisi inevitabile.
Il Conte bis, infatti, ha tratto la sua forza propulsiva da un interesse, in termini negativi, di natura personale: evitare i pieni poteri di Salvini.
Non ha avvinto alle parti, al momento della sua formazione, concordare con impegno di omogeneità politica, una piattaforma di programma comune sul quale basare la “governabilità” del Paese, ma aggregare tra loro forze contrapposte, con radici e culture politiche distanti anni luce, al fine di scongiurare un rischio individuale.
Appare evidente il vizio di fondo, mancando nell’accordo politico, un interesse di natura generale tale da saldare la proposta di governo.
La verifica poi, dopo la nascita del Governo, della sua tenuta edell’attuazione del Programma, in cui ad ogni modo erano confluite anche proposte particolarmente lontane tra loro, si è spostata in un orizzonte di legislatura voluta sino alla fine, marzo 2023.
In corso d’opera, però, è successo qualcosa di imprevisto ed imprevedibile.
E arriva la pandemia da Covid 19.
Il Governo, di fronte a simile catastrofe mondiale, ha dovuto cambiare rotta intervenendo, con urgenza, con azioni e misure particolarmente pervasive sia sul piano delle libertà personali che economiche e sociali.
L’azione, innegabilmente, sul presupposto di un stato di emergenza divenuto triste costanza, si è esplicata con un accentramento di poteri in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri il quale ha utilizzato, massicciamente, lo strumento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, atto di natura amministrativa, non avente forza di legge, a carattere di fonte normativa secondaria.
Lo strumento, come noto agli addetti ai lavori, viene utilizzato, di norma, per dare attuazione a disposizioni di legge.
Lo stesso tra l’altro, non è soggetto ad alcuna conversione da parte del Parlamento ed è sottratto, a seguito di eventuale sollevamento di questione di legittimità costituzionale, al vaglio della Corte Costituzionale.
Essenzialmente, si sono limitati diritti primari di rango costituzionale, quali la libertà di movimento, attraverso l’emanazione di atti amministrativi aventi rango di fonte secondaria.
Più corretto, sul piano costituzionale e politico, sarebbe statol’utilizzo del decreto-legge ex art. 77 della Costituzione Italiana, emanabile in casi di gravità ed urgenza, che avrebbe garantito, nel suo passaggio alle Camere per la conversione, una partecipazione di tutto il Parlamento alle decisioni vitali assunte.
In buona sostanza, alla prova dei fatti, il rischio che si voleva scongiurare, non dare pieni poteri, si è integralmente ripresentato, cambiando però il personaggio.
L’unica differenza è che il primo aspirava al governo, mentre l’altro ne è a capo.
Dove nasce quindi la crisi.
Per fronteggiare gli effetti drammatici della pandemia, l’Unione Europea, attraverso il bilancio a lungo termine, unito all’iniziativa NextGenerationEU, uno strumento temporaneo pensato per stimolare la ripresa, ha messo sul tavolo il più ingente pacchetto di misure di stimolo mai finanziato.
Per ricostruire l’Europa del post Covid 19, verrà stanziato un totale di 1.800 miliardi di euro.
L’obiettivo è un’Europa più ecologica, digitale e resiliente.
All’Italia, secondo i criteri di ripartizione, spetteranno di circa 209 miliardi ripartiti in 81,4 miliardi in sussidi e 127,4 miliardi in prestiti.
Per l’attingimento alle risorse, il Governo, unitamente ai Governi degli altri Stati membri, dovrà presentare alla Commissione Europea, per il vaglio e l’approvazione, entro la fine di aprile 2021, i c.d. Pnnr, Piano di ripresa e di resilienza.
Si tratta del più imponente piano di investimenti pubblici nella storia repubblicana, in grado di risollevare, se ben gestito, le sorti del nostro paese.
Orbene, in costanza dei pieni poteri indicati, il Governo ha proposto la costituzione di una cabina di regia di quasi 300 esperti, struttura che, presumibilmente sulla scorta di quell’impulso a svuotare l’azione collettiva, democratica e di controllo a vantaggio di quella amministrativa, avrebbe dovuto gestire la programmazione e l’attuazione del Piano italiano, presentato per grandi linee alle forze politiche di governo, ad oggi in forte ritardo.
Su questo ultimo aspetto via è un grido d’allarme da parte della stessa Commissione Europea.
Di fronte a simile iniziativa, una forza di governo, Italia Viva, sollevando anche altre questioni, quali i ritardi e le inefficienze negli interventi economici e sanitari nella gestione della pandemia, il mantenimento in capo al Presidente del Consiglio della delega ai servizi segreti, ha ritirato la sua compagine governativa.
Aperta la crisi parlamentare, nel mercato osceno del trasformismo nostrano, il governo Conte bis, ha ottenuto alla Camera dei Deputati 321 voti favorevoli mentre al Senato 156 diventando, di fatto, un “governo di minoranza” non in grado, ad oggi, di garantire la governabilità.
Come si cerca di risolvere la crisi?
Secondo il Capo del Governo, con una ricomposizione del quadro politico parlamentare tale da rafforzare la maggioranza e, con l’impegno ad una modifica della legge elettorale in senso proporzionale. Ecco la cura al male.
Angelo Montalto