Storia del costume politico ad Acri: un chiaroscuro da non dimenticare.

Occorre interrogarsi, oggi più che mai, sul reale significato di  termini come politica ed etica e di come essi, ai giorni nostri, siano diventati sempre più antitetici, al punto da far apparire il primo quasi come un’ingiuria agli occhi dei più.  Potremmo dilungarci molto sul perché del fenomeno, soprattutto alle nostre latitudini. Un dato è certo: con il passare dei decenni, i valori fondanti del nostro attuale assetto si sono progressivamente appannati e hanno lasciato il posto a nuovi disvalori. Se prendiamo ad esempio il nostro microcosmo, potremmo facilmente scindere due fasi: la prima, gestita da uomini che erano figli della Resistenza, che avevano passato la difficile esperienza del Ventennio e che basavano la loro azione su un substrato morale solido, che ha permesso alle loro immagini di resistere all’ingiuria degli anni e essere additati oggi come esempi. Non sono stati immuni da errori o sottovalutazioni, ma sono stati, comunque, dei modelli sul piano morale ed etico. Tuttavia, quella generazione una colpa l’ha avuta: quella di non avere formato una classe dirigente in grado di succedergli degnamente. E’ accaduto, così, che negli anni ‘70 del secolo scorso, con la scomparsa dalla scena di quegli uomini venuti fuori dalla Resistenza e dall’opposizione al Fascismo, si è affacciata una nuova classe alquanto eterogenea quanto a idealità e soprattutto profondamente diversa nell’agire. Fra questi uomini c’è n’erano alcuni che erano degni eredi della prima linea e che hanno improntato la loro azione pubblica a un rigore morale ed etico che lasciava pochi spazi al compromesso. Alcuni di questi erano degli autentici “Hombre vertical”, personaggi dalla schiena dritta che, tutte le volte che si sono trovati a scegliere tra la poltrona e la fedeltà ai loro principi, non hanno esitato a sacrificare la prima a vantaggio della seconda. Per la loro intransigenza, erano spesso invisi da alcuni dei loro compagni di viaggio, personaggi fatti di un materiale molto più fragile e molto inclini al compromesso e ai personalismi. Fare di tutta l’erba un fascio di quella generazione non sarebbe giusto nei confronti di chi ha interpretato il proprio ruolo pubblico restando fedele ai propri principi, sacrificando in loro nome ambizioni e aspirazioni.  Oggi ci sono tutte le condizioni per una ricostruzione storica, decantata, della classe dirigente acrese tra gli anni ‘70 e gli anni ‘90 del secolo scorso. In quest’ottica, occorre anzitutto separare il grano dal loglio e scindere tra chi, restando fedele ai propri principi, ha portato avanti battaglie nell’esclusivo interesse del popolo e chi, invece, aveva, nella migliore delle accezioni, una visione più corta e contingente della gestione pubblica. Chi avrà voglia di approfondire queste tematiche, scoprirà eventi,  vicende e personaggi che potrebbero stupirlo: si imbatterà in Don Chisciotte, che, nella loro attività hanno dovuto difendersi non dagli avversari politici ma dai loro stessi compagni di partito. Scoprirà Sindaci, più volte eletti, che non hanno mai terminato una legislatura, impallinati dal fuoco  “amico”, scoprirà altri intellettuali, che pure hanno ricoperto cariche prestigiose, che, per la loro intransigenza morale, non essendo funzionali, sono stati fatti oggetto di attacchi larvati. Questi stessi signori, in qualche occasione, hanno impedito a loro familiari di partecipare ad assegnazione di incarichi e a  concorsi nella cosa pubblica fino a quando loro ne hanno fatto parte. Ecco, nel rievocare quegli anni – al netto di giudizi di merito sui risultati, che esulano dal nostro presente intento – ci si potrà imbattere in sognatori, inflessibili nei loro principi, che hanno sicuramente anche commesso degli errori nel loro agire, ma che hanno ricondotto ogni loro azione a un interesse generale supremo, tra gli sghignazzi e le derisioni dei furbi, che, invece, utilizzavano partito e cariche per tutt’altri fini.  Ci si potrà imbattere in qualche personaggio più o meno capace, altri totalmente incapaci, altri furbi e subdoli.  Onore a chi è caduto sotto il fuoco dei propri fratelli: in nome di una sconfitta immediata, oggi gode di una luce che offusca i tanti pseudointerpreti di un poco encomiabile passato, fatto di personalismi e tant’altro.

Massimo Conocchia

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