Sulla tombatura dei fiumi

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Quello della copertura dei torrenti è un fatto che, per racimolare qualche metro di suolo onde costruirci poi case, palazzi o vie di comunicazione, non tiene conto di elementari calcoli che si possono verificare (per chi studia Idraulica) nel giro di mille anni. Si tiene conto solo a “memoria d’uomo” e si creano chiusure che in qualsiasi momento possono non contenere la portata dell’intero bacino imbrifero montano. E’ quello a cui stiamo assistendo in questi ultimi decenni (le prime avvisaglie del cambiamento climatico le abbiamo avute negli anni ‘80 con gli affluenti del fiume Tevere che esondarono creando morte e distruzione  “che a memoria d’uomo non erano mai avvenute”).  L’idraulica che ci insegnarono, da un parametro 1mc/sec per kmq di superficie montana. Questo dato ci dà un’idea di quanta acqua potrebbe transitare in un determinato alveo, o per i grandi bacini la portata che potrebbe arrivare in un determinato lago. Personalmente ho avuto grande esperienza in merito, essendo stato responsabile di centrali idroelettriche con bacini di 420ml/mc e fiumi con portate di 1000mc/s. Ciò con grande responsabilità mi ha permesso di evitare più di qualche disastro, anche mettendomi contro la mia direzione (per legge dopo il disastro del Vajont con il 1 novembre di ogni anno tutti i bacini devono avere una quota massima per cui possono incamerare ancora un quinto del proprio volume, quota che con il 31 marzo può essere superata). Era l’autunno del 1979, dopo un’abbondante nevicata sopra i 1500mt, il tempo girò a pioggia cominciando a sciogliere le nevi. La portata del fiume era tale che il volume lasciato si sarebbe colmato nel giro di due giorni e se avessimo scaricato l’intera portata avremmo potuto allagare la città di Rieti, in considerazione anche degli altri fiumi che convergevano tutti sullo stesso punto (solo la parte di valle in quanto questo aveva un volume d’invaso più grande ed un bacino imbrifero più piccolo rispetto al Turano, il fiume Velino anch’esso con un bacino imbrifero di vaste proporzioni senza possibilità di accumulo). Ebbene, dopo continue telefonate al dirigente, non ebbi il permesso di iniziare a scaricare parte della portata che arrivava (in quanto era energia che avremmo buttato via, che poi avremmo dovuto tener conto alla direzione generale). Forte della mia esperienza ed autorevolezza, mi misi di traverso e dissi che se entro le ore 18:00 non avessi avuto il permesso, io avrei aperto lo scarico di fondo della diga per una portata di 150mc/s, a meno di un telegramma che mi si sollevava dai miei compiti. Il telegramma non arrivò, ma arrivarono molte telefonate di minacce e diniego da parte della direzione di Roma, che mi avrebbero preso a pedate nel sedere da Rieti a Roma. Nel frattempo chiesi l’autorizzazione ai responsabili del piano di produzione energetica nazionale di avviare le pompe (la centrale era di tipo Generazione e Pompaggio) per pompare acqua dal fiume Velino verso il lago Salto per una portata di 50mc/s ed una potenza in assorbimento di circa 100MW, questo per alleggerire la confluenza su Rieti. Il massimo livello del lago fu raggiunto dopo 4 giorni, anziché due. Nel frattempo il tempo si era leggermente calmato ma il lago cominciò ad esondare dalla propria diga. Era previsto in progetto tale evento tanto che l’esondazione poteva essere di circa 1mt al disopra del coronamento. A questo punto feci chiudere lo scarico di fondo e scaricare l’acqua dalla superficie. Così facendo, contavo sull’innalzamento dello stesso livello del lago in quanto per ogni cm in più, vista l’enorme espansione dello stesso, erano mc che invasavo e non scaricavo a valle. Raggiungemmo la quota di sfioro al di sopra di ben 30cm e la città di Rieti non ebbe ripercussioni. Queste esperienze mi hanno permesso (quando ero sindaco) di tenere sotto controllo la (tombatura) del torrente Portalaterra che passa al centro di Orsomarso ed annualmente in estate fare quelle pulizie necessarie all’alveo.

Lanfranco Bussetti

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