Acri e il dramma dei fiumi tombati

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Un problema ampiamente dibattuto negli ultimi decenni è quello dei fiumi tombati e del potenziale pericolo per le popolazioni e le abitazioni che popolano quelli che un tempo erano i greti naturali dei fiumi. Il fenomeno ha riguardato anche la nostra città ed è per questo che ci piace alimentare un dibattito sul tema. Da premettere che il nostro è il punto di vista di un cittadino che pone un problema e degli interrogativi su cui ci piacerebbe che altri, più qualificati di noi, intervenissero per dire la loro e, magari, illuminarci.

Storicamente, la tombatura dei fiumi ha origini lontane, precisamente si può far risalire al periodo napoleonico, quando, venne deciso di chiudere alcuni corsi d’acqua, trasformandoli in fiumi sotterranei, essenzialmente per ragioni di sanità pubblica, essendo alcuni di essi delle fogne a cielo aperto. Questa pratica venne ripresa da alcuni urbanisti negli anni 50’,60’, e 70’. Alle ragioni igienico sanitarie del periodo napoleonico – che non reggevano più alle soglie del terzo millennio e con una situazione igienico-sanitaria nettamente diversa – , si aggiunsero e prevalsero quelle del recupero di spazi destinati alla costruzione di case e palazzi. Così facendo, i greti naturali dei fiumi e gli spazi circostanti – che avrebbero avuto la funzione di valvole di sfogo in caso di esondazioni dovute alle abbondanti precipitazioni –  sono stati occupati dalle opere dell’uomo. In pratica, è come se si fosse costretto lo spazio del fiume da un raggio di 100 mt a 20 mt, con un collo di bottiglia, estremamente pericoloso nel caso di un aumento notevole della portata dell’acqua con possibili effetti “esplosivi”. Negli ultimi decenni, alcuni esempi popolano la nostra memoria, l’esondazione di Livorno e quella di Genova, costata 40 vittime e migliaia di sfollati. L’evento venne immortalato nella canzone “Dolcenera” di Fabrizio De Andrè.

Il concetto di fondo è che è stato tombato non un morto ma un corso d’acqua vivo e vitale, che in caso di emergenza verrebbe privato delle naturali vie di sfogo dell’acqua, che, non potendo raggiungere le falde sotterranee e vedendo fortemente ridimensionate le naturali vie di sfogo, non potrà fare altro che emergere in superficie con immaginabili conseguenze.

A tal proposito, ci rimbomba ancora il monito di un architetto di fama internazionale che, riferendosi alla nostra città, così si espresse oltre un ventennio fa: “solo gli imbecilli vanno a tombare i fiumi, Dio vi salvi dalle forze della natura!”. Questa espressione, riportata recentemente da qualcun altro, sul nostro sito, ci fa riflettere non poco.

In tutta Italia sono circa 12.000 i km di fiume tombati con non poche criticità sparse lungo lo stivale. In queste situazioni – tra le quali ricade anche Acri – le aree paludose, naturali casse di espansione dei corsi d’acqua, non ci sono più, occupate dalla selvaggia opera di edificazione, il più delle volte abusiva. Ci piacerebbe che qualcuno ci illuminasse sulla questione, che, ripetiamo, ci preoccupa non poco.

“ E l’uomo la stoltezza sua chiama destino” (Omero).

Massimo Conocchia

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Una risposta

  1. Domenico Gallipoli ha detto:

    La fortuna vuole che il Calamo sia un corso d’acqua che data la sua brevità a monte del nostro abitato non potrà mai raggiungere livelli di portata d’acqua preoccupanti. L’ordinaria manutenzione può bastare, d’altra parte riesumare il fiume come si farebbe per una salma non penso che in Italia possa mai accadere

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