Un anno difficile…

Come ogni fine anno, ci ritroviamo a fare il computo di quanto lasciamo alle spalle, di ciò che l’anno che sta passando ci ha tramandato. Mai come nello stato presente il bilancio è difficile e arduo. Il primo gennaio scorso eravamo tutti entusiasti e speranzosi, ignari di quanto da lì a poco ci sarebbe toccato. Il 2020, con suo carico di morte e desolazione, ci ha profondamente cambiato, mettendo a nudo le nostre fragilità, le nostre debolezze, non solo come singoli, ma soprattutto come Paese, che si è scoperto, anche in aree più avanzate, debole e scarsamente in grado di gestire situazioni emergenziali. Un anno terribile sotto il profilo della nostra salute, delle libertà individuali, fortemente ridimensionate per un interesse supremo. L’anno che sta finendo ha messo a nudo tant’altro, a cominciare dalla nostra immaturità come singoli, come cittadini. Di fronte all’emergenza, il primo istinto di molti è stato quello di scappare, per aggirare divieti e limitazioni. La corsa sfrenata verso il Sud, alla ricerca di posti più sicuri, incuranti del rischio che si sarebbe arrecato ai nostri cari. Poi una lunga fase in cui la coesione e l’interesse generale sembrava avesse  fatto breccia nella mente di ognuno. Fino all’estate, quando è prevalso il liberi tutti, la voglia di divertimento a qualsiasi costo. Da quel momento l’interesse privato è tornato a prevalere e ci siamo presto dimenticati delle migliaia di morti che la prima fase della pandemia si era portati via. A loro va un pensiero particolare: è scomparsa, nelle maggior parte dei casi, la nostra memoria, le persone che avevano ricostruito questo Paese dopo gli orrori di una guerra. Vorrei che per un momento ci soffermassimo a valutare non solo il fatto – di per sé orribile – della morte ma anche le modalità del distacco, un dramma nel dramma. I nostri cari sono morti in solitudine, senza nessuno che stringesse loro la mano, senza una lacrima, senza affetti. Nemmeno dopo morti si aveva la possibilità di stare loro vicini. Ogni morte è terribile ma questa è ancora più brutta per come si è presentata. Nella seconda ondata, ci siamo presto dimenticati di quello spirito di coesione che ci aveva caratterizzato a marzo, quando sembrava riemergere un sentimento finalmente unitario che in 160 non era mai stato ritrovato. In ottobre è prevalso un sentimento di egoismo e di insofferenza verso misure volte, in definitiva, alla tutela collettiva. Ecco, il 2020 è riuscito a farci ritrovare e perderci nuovamente nel volgere di un equinozio. Oggi appariamo tristi, sconsolati, insofferenti e sfiduciati perché abbiamo, intanto, acquisto consapevolezza che la battaglia non è finita e  che buona parte del prossimo anno sarà caratterizzata dal perdurare di uno stato di incertezza e di emergenza, che non ci abbandonerà fino a quando la maggior parte di noi non sarà vaccinata. In questo senso l’anno che sta per chiudersi si prende beffa di noi, perchè non solo ci lascia un fardello pesante ma ci leva la certezza che il nuovo anno sarà diverso. Che fare allora? Abbandonarsi allo scoramento non conviene né sotto il profilo personale né sotto quello pubblico. Dobbiamo affrontare il nuovo anno con la coscienza di una battaglia ancora in corso ma, contestualmente, con la consapevolezza di conoscere bene il nemico e di disporre di strumenti di lotta e difesa che ci porteranno alla fine a vincere la guerra. Non dobbiamo abbandonare la consapevolezza di stare a combattere una battaglia comune, che potremo vincere solo con una lotta comune e condivisa. Se una cosa ci ha insegnato questa guerra è l’inutilità di atteggiamenti egoistici e autolesionisti. Ci ha insegnato, per la verità, anche molto altro: a diffidare da chi ci ha, per decenni, illuso con parole e promesse: una classe politica trasversale fatta di fanfaroni, che non solo non hanno creato nulla di nuovo, ma che hanno distrutto quel  poco di esistente che serviva per la tutela della nostra salute. La classe politica degli ultimi vent’anni ha responsabilità tremende che vanno al di là dello stato presente. 

Massimo Conocchia

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