1817 – Manifatture in provincia di Cosenza

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Altra volta abbiamo riportato della tessitrice e dell’importanza che rivestivano questa “mastra” e l’arte della tessitura. Diamo, ora qualche notizia agli amanti di questo artigianato, fiorente fino agli anni 50 del secolo scorso e ora scomparso.

Andrea Lombardi, presidente della sezione di Economia civile, in seno alla Società Economica di Calabria Citeriore, ossia della provincia di Cosenza, in un discorso, pronunciato in Cosenza il 30 maggio 1817, dice:

“La nostra Pastorizia non è delle ultime del Regno; essa somministra lana di ogni qualità, ed abbondevolmente. Non esistono però presso di noi lanifici, o altre fabbriche di questo genere. Si manifatturano soltanto rozzamente le nostre lane, e per gli usi economici della classe infima del popolo”.

L’oratore ci informa sui tessuti e su alcuni luoghi più rinomati dove si tesseva: “Sono in riputazione i così detti Zigrini, che si lavorano in Longobucco, ed in Bocchigliere; è anche tenuto in pregio l’arbascio che si travaglia in Scigliano, Aprigliano, ed altri Casali di Cosenza”.

Va precisato che l’arbascio era detto, dalle nostre parti, frannìna, ossia tessuto all’uso in atto delle Fiandre. In un documento del 1529, relativo a Messina una persona che si costituisce dice: “su contentu observari di li robbi mei di frandina”. V. Padula riporta di “frannina a cordonetto, dove si mette doppia trama” e “frannina mischia (si cardano lana gentile bianca e la lana carbellisa)”.

Questo tipo di tessuto era usato per farne coperte, abiti per uomo. Lo usavano, popolani e pastori. Si rendeva compatto e impermeabile, lavorandolo nelle gualchiere (varchi), annesse ai mulini, perché sfruttavano, come forza motrice delle macchine, la corrente delle acque di fiumi e torrenti. Così ci informa l’oratore:  “sono similmente stimati i diversi lavori di lana tanto semplice che unita alla seta, ed al cotone, che si fanno in Castrovillari, in Lungro, in Altomonte, in Morano, in Cassano, ed in Mormanno, e che vanno sotto il nome di fiannine, di pannetti, di lanette, di casimiri, di panni mischi ec.: ma tutte queste industrie di lana sono ancora nello stato di rozzezza e di mediocrità”.

A proposito di Morano si scriveva nel 1852: “potrebbe introdursi una manifattura in grande di quei panni che colà si fabbricano, riducendoli alla dovuta perfezione. Non vi è luogo che offra tanti comodi per la migliore riuscita di questa industria”.

Altra fibra che si tesseva era quella del lino, la cui cultura, diceva l’oratore, “è molto limitata in Provincia” e non bastava “a’ bisogni della economia domestica”. Perciò, s’importava da altre parti del regno. Sull’uso ci dà notizia: “se ne lavorano tele per camice (sic), per biancherie di letto, e per altri usi familiari. Si distinguono sopratutto le tele di Rogliano, di Marzi, di Sanfili, di Fuscaldo, di Corigliano ec. Generalmente le tele di lino che si travagliano in Provincia sono mediocrissime, e non formano un oggetto interessante di economia e d’industria”.

Altra pianta poco coltivata era la canapa. Chi tesseva queste fibre? Il presidente precisa:

“È questo il luogo da farvi osservare che tanto le manifatture scarsissime di seta, e di lino, che i mediocri di cotone, e di lana sono in questa Provincia esclusivamente esercitate dalle donne, le quali vi hanno un’ attitudine particolare”.

Un artigianato abbastanza importante era quello della lavorazione delle pelli. In una indagine statistica da noi pubblicata su “Confronto”, relativa agli ultimi anni del regno delle Due Sicilie, in Acri vi erano 8 concerie di “pelli bianche e nere”. Una di esse rimase operante fino agli ultimi anni del dopoguerra 1940.

Lombardi ci dà le seguenti notizie: “Evvi non indifferente quantità di cuoj, e di pelli nella Calabria Citeriore, e pure non vi esistono concerie degne di molta considerazione. All’infuori di quelle stabilite in Cosenza, in Scigliano, in Mormanno, ed in Corigliano, le quali danno delle sole, corduane, ed altre pelli conciate di mediocre qualità, tutte le altre Concerie della Provincia non valgono la pena di essere rammentate”.

Precisiamo, per concludere che corduane o cordovane erano cuoi conciati secondo il metodo usato dai conciatori di Cordova.

Giuseppe Abbruzzo

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