Letture dei giorni del Covid

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Ho appena finito di leggere la ponderosa raccolta di ‘antipoesia’ del cileno Nicanor Parra, ‘L’ultimo spegne la luce’ a cura di Matteo Lefèvre, pubblicata per i tipi di Bombiani, Milano 2019.

Confesso, Parra è un autore che non conoscevo e come tale la raccolta, è stata comprata quasi per caso spinto dalla solita curiosità per il ‘nuovo’ ma anche per impegnare una parte del tempo che il ‘virus’ ha messo a disposizione di interi popoli da un anno ormai; la lettura è stata presa in considerazione anche per essere stata messa in prima fila fra le tante altre nel ‘salotto buono’ di casa.

Ed ecco, una volta preso fra le mani il malloppo, in bella brossura di oltre quattrocento pagine ruvide e di colore leggermente avoriato, non mi è stato più possibile mollarlo e farlo ‘riposare’ a lungo o per sempre sopra una mensola in compagnia di  altri libri, come spesso succede per tante opere comprate, annusate e lasciate ‘intonse’.

A consolidare la voglia di andare fino in fondo nella lettura del testo ha decisamente contribuito anche la lunga introduzione del curatore Matteo Lefèvre che, fra l’altro, ci da qualche notizia della biografia di Parra, dicendoci che era nato in Cile nel 1914, e che è morto nel 2018 alla veneranda età di 104 anni, dopo circa ottant’anni di scrittura, pur essendosi laureato in ingegneria e avendo insegnato meccanica razionale per sbarcare il lunario. L’introduzione si dilunga analizzando a fondo l’opera come risultato di ‘un antipoeta alla corte della poesia’, lamentando poi il fatto che Parra non abbia avuto in Italia lo stesso successo tributatogli nell’America latina, perché da noi invece si è letto e osannato come ‘protagonista della lirica ispanoamericana Neruda, …il quale ha spopolato sia come poeta politico che come cantore dell’esperienza amorosa’.

Neruda, afferma ancora Lefèvre, da noi ha avuto fortuna ‘grazie alla sua instancabile capacità autopromozionale, alle inquiete vicende autobiografiche e anche agli interessi del Partito Comunista’.

      Ma ora lasciamo da parte le considerazioni del curatore, ed entriamo un po’ ‘in medias res’ per quel che mi riguarda, cioè per alcune peculiarità dell’opera di Parra che egli stesso annunzia come ‘new deal’ della lirica attraverso il celebre ‘Manifesto’ dei primi anni sessanta; in esso enuncia i principii di una nuova concezione della sua ‘antipoesia’ e del poeta cantando:

‘Signore e signori

Questa è la nostra ultima parola

–La nostra prima e ultima parola–:

I poeti sono scesi dall’Olimpo.

                                   Per i nostri padri

La poesia è stata un oggetto di lusso

Però per noi

E’ un bene di prima necessità:

Non possiamo vivere senza poesia.

A differenza dei nostri padri

–E dico questo con tutto il rispetto—

Noi sosteniamo

Che il poeta non è un alchimista

Il poeta è un uomo come tanti

Un muratore che costruisce un muro:

Un costruttore di porte e finestre.

Noi conversiamo

Nel linguaggio di tutti i giorni

Non crediamo in segni cabalistici.

Ora, se le premesse dell’antipoesia sono queste, e poggiano sul concetto che ‘non possiamo vivere senza poesia’, paragonata all’opera del muratore e del costruttore di porte e finestre, è chiaro che ci troviamo di fronte ad una vera e propria svolta, ad un rifiuto  di ogni sacralità del verso, di ogni riferimento e obbedienza ai canoni consolidati dell’opera togata cui siamo stati educati; anche se, a ben vedere, in Parra non viene mai meno la figura dell’aedo, che canta libero su tutto e su tutti in mezzo al popolo senza curarsi di essere ascoltato e condiviso; il suo canto così spazia senza tregua, a volte disperato, indicando spesso il verso solo con un numero:

XV 

“Pregate per me – dicono alcuni cattolici

“io non ho tempo per pregare

devo andare ad un ballo in maschera

al ritorno vi do una mancia”

Questi bisogna stroncarli sul nascere:

la cosa migliore è denunciarli al parroco

perché li rimetta al loro posto.

XVII

Ci sono alcuni sacerdoti scriteriati

che si presentano a dire messa

sfoggiando enormi occhiaie artificiali

e perché non dirlo francamente

con le guance e le labbra truccate

Sua Santità dovrebbe prendere appunti.

                                   XVIII

Nel conflitto ormai millenario

che minaccia con una nuova divisione la Chiesa di

                                                                              Cristo

Io mi dichiaro fondamentalista:

mi pronuncio per la preghiera mentale

sono nemico della preghiera verbale

anche se non ho voce in capitolo

visto che sono un libero pensatore.

E ancora, per capire meglio che cosa Parra pensi della poesia togata, ecco altri versi di provocazione con cui stigmatizza in modo inequivocabile il suo diniego al poetare borghese:

                                   Sette

sono i temi fondamentali della poesia lirica

in primo luogo il pube della donzella

poi la luna piena che è il pube del cielo

i boschetti gremiti di uccelli

il crepuscolo che sembra una cartolina

lo strumento musicale chiamato violino

e la meraviglia assoluta che è un grappolo d’uva.

Tutta la poesia di Parra è intrisa di un’ironia caustica, un’ironia che non risparmia nessuno, tanto meno se stesso, come nella lunga lirica: ‘I vizi del mondo moderno’, in cui fra l’altro canta:

                          Come è dimostrato,

Il mondo moderno si compone di fiori artificiali,

Che si coltivano in campane di vetro simili alla morte,

E’ formato da stelle del cinema,

E da sanguinari pugilatori che combattono alla luce della luna,

E’ composto da uomini usignoli che controllano la vita

                                                                          economica dei paesi

………………………………………………………………………………………………

Il mondo moderno è una grande cloaca:

I ristoranti di lusso sono gremiti di cadaveri digestivi

E di uccelli che volano pericolosamente a bassa quota.

………………………………………………………………………………………………

Per tutto questo

Coltivo un pidocchio sulla mia cravatta

E sorrido agli imbecilli che scendono dagli alberi.

Insomma, il canto di Parra, a volte sconsolato e dolorosamente vissuto, non trova pace in nulla e gli fa dire: ‘Il mondo traditore in cui viviamo/Vale di meno di una ruota a terra’:/Molto più onorevole è una tomba,/Vale di più una foglia ammuffita,/Niente qui è vero, niente resta uguale’.

                          E nella lirica XXV

Tutti i mestieri si riducono a uno

ci sono quelli che dicono siamo professori

siamo ambasciatori siamo sarti

e la realtà è che sono sacerdoti

sacerdoti vestiti oppure nudi

sacerdoti malati oppure sani

sacerdoti in atto di servizio

Perfino chi pulisce i tombini

è senza ombra di dubbio un sacerdote

anzi è più sacerdote di chiunque.

A questo punto mi piace concludere questa breve conversazione sul poeta cileno con altri suoi versi, che aiutano a chiarire ancora di più il suo stile e la sua idea di ‘antipoesia’, versi che vale la pena di conoscere e leggere con attenzione senza farsi traviare da rifiuti stilistici preconcetti, ma accettando come salutare lo spirito mordace e canzonatorio, che Parra non dimenticò di ricordare neanche sulla sua bara con la scritta: “Voy&Vuelvo”, “Vado e torno”… 

                          Le montagne russe

Durante mezzo secolo

La poesia è stata

Il paradiso del sommo cretino.

Finché non giunsi io

E costruii le mie montagne russe.

Salite, se vi va,

Non sarà colpa mia se scenderete

Sputando sangue da bocca e narici.

Vincenzo Rizzuto 

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