Olio di olive “roggianelle”: un gioiello verde-oro

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Sulle olive “roggianelle” se ne dicono tante (“non cadono manco a scuoterli con una mazza”, “danno produzione anche nell’anno di magra”, “non diventeranno mai dolci”, “sono quasi sempre sane”, “la resa è poca ma l’olio è buono”) ma quando si porta a casa il loro olio è un gran sollievo, soprattutto se l’uliveto è in territorio di Acri (Cosenza). Il gran sollievo è per la fine (annuale, purtroppo) delle spese e della fatica sopportate per coltivare l’uliveto e per raccogliere le olive. In Acri, gli uliveti nelle migliori condizioni occupano terreni poco pianeggianti, quasi al limite della meccanizzazione, ma molti si estendono oltre questo limite e risentono della natura del terreno, del sottile suolo agrario, della ridotta permeabilità, dell’alta erosione, dell’insufficiente meccanizzazione, del molto lavoro manuale. Intanto, gli ulivi sono qui e dispiace abbandonarli e vederli in preda alle erbacce ed ai rovi: il loro impianto ha richiesto molta fatica e molti anni.
La resa in olio delle olive “roggianelle” non è esaltante (quest’anno è stata del 14,5%, anche se in altri anni non sono mancate massime del 17% o minime dell’11%) a paragone di altre qualità di olive (alcune, in zone di pianura e più calde, possono arrivare fino al 26-28%).
Se la qualità non è sinonimo di quantità, i piccoli produttori acresi possono considerare “l’olio di roggianelle” un piccolo gioiello, da conservare con cura o da farne dono a persone stimate, che apprezzano il dono e considerano soprattutto la fatica per produrlo. Un olio che si sente in gola anche su una calda bruschetta condita da solo origano.
Francesco Foggia

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