La mia Calabria: Renaissance (terza parte)
Bernardina ha settant’anni. Malgrado l’età è molto bella. I capelli sale e pepe li porta con la scriminatura al lato, tagliati corti alla nuca. Non ha mai amato i capelli lunghi, nemmeno da giovane, ossessionata come era dal timore di perderne qualche filo nel cibo che preparava. Un ventaglio di rughe le movimenta la fronte larga e spaziosa. Gli occhi sono azzurro acquamarina. Luminosi e quieti. Il viso è tutto dolcezza e bontà, incorruttibile come la luce di un mattino di maggio.
Pronta a versare la suriaca nel piatto di portata, spiega con calma la ricetta:
“Questo è un piatto povero, della tradizione contadina. Di solito si usano i borlotti ma si possono utilizzare anche i cannellini o i bianchi di Spagna. Il trucco non è solo la cottura nella pignata ma la qualità dell’acqua, che deve essere povera di sali di calcio, proprio come la nostra acqua silana, da aggiungere sempre calda per non interrompere la cottura. Inoltre non bisogna mai usare cucchiai di metallo ma solo il mestolo in legno o meglio ancora agitarli manualmente per non farli attaccare al fondo. Il sale si deve mettere sempre alla fine. Io unisco ai fagioli la santoreggia. Questa piantina aromatica piaceva a mia madre e qui in montagna si trova sempre sopravvivendo anche al freddo dell’inverno. Le cotiche della carne ncantarata si possono unire oppure no. Va a gusto. A causa del colesterolo alto di Gioacchino le mangiamo di rado ma oggi ho voluto fare un’eccezione per voi. Però le ho sgrassate e cucinate a parte per rispettare la vostra dieta, ma onestamente non mi sembrate grasso, solo un uomo in buona salute. Nel frattempo ho tostato pure un po’ di fette di pane, le ho irrorate d’olio novello e le ho adagiate nel piatto prima di versare la minestra che a me piace brodosa proprio per ammollare meglio il pane.”
Il regista è incantato dalla donna, dal garbo col quale si muove attorno alla tavola, dai gesti lenti e misurati con i quali accompagna ogni fase di preparazione del cibo, da quelle manine piccole e svelte che si muovono con sapienza fra mestoli e piatti.
Tutto quello che fa risulta ai suoi occhi particolarmente amabile. Ha qualcosa di sua madre Angelina, semplice e felice mentre girava per casa, sempre piena di aspettative e cantava una strofa di una canzone:
A quindici anni, quando fumai la prima volta, mi ubriacai, ora non provo gioia e dolore, son fumatore, son fumatore. Cimparaparacimpa, cimparaparacimpa, cimparaparacimpa, unpa unpa unpappà.
E lei non era nemmeno fumatrice.
Per Robert questo è il momento più gradevole di tutta la giornata. Ha l’acquolina in bocca, fra l’altro ora che Margherita si è allontanata per andare a comprare qualche gingillino dall’orafo Spadafora, può approfittare per assaggiare la pietanza di Bernardina. Ha le narici piene del profumo del cibo cotto a puntino. Pregusta sul palato la bontà delle cotiche che non mangia da decenni.
“Bernardina potremmo fare un assaggio?” Azzarda a dire lanciando un’occhiata all’orologio per calcolare i tempi della moglie. Sa con certezza che resterà in gioielleria almeno un paio d’ore. Giusto il tempo per pranzare. In cuor suo si sente in colpa verso Margherita, una buona moglie per carità, se solo non avesse questa fissazione della dieta, e lui a furia di mangiare a spizzichi e bocconi di nascosto sta diventando nervoso.
“Dovete assaggiare altrimenti mi offendo”, replica la donna, senza sollevare il capo, concentrata a servire la minestra fumante.
“Sì Bernardina ma solo se mi date del tu. Three Ef spegni la macchina che facciamo onore alla suriaca”, dice emozionato e trepidante di felicità come quando andava con nonna Ninna da Reda & Stilla a comprare i diplomatici di Pan di Spagna con quel meraviglioso strato di glassa di zucchero bianco e la ciliegina candita.
“Gioacchì stappa u vinu e vieniti assetta ca a suriaca è bella cavuda…”
E così si accomodano tutti e quattro attorno alla grande tavola, chiacchierando allegramente, mentre Margherita nel frattempo stava njotando di chiacchiere il povero orafo.
Aurora Luzzi