Macerie moderne nella Calabria a brandelli

Chissà quanti calabresi ricordano nei viaggi recenti in Calabria, l’infinita serie di incompiute pubbliche sparse ovunque, esito di investimenti milionari, – nazionali e regionali – soprattutto di scelte sbagliate e prive delle elementari capacità di guardare avanti una decina di anni e saper programmare il futuro. Un elenco lunghissimo che riguarda grandi e piccole opere, dalla diga del Melito, al pontile di Lamezia, all’ex Sir di Saline luogo fantasmagorico, fino alla sconfinata serie di alberghi, di case private sulla costa e nell’interno che oggi sono fantasmi di cemento armato. Ruderi e macerie di una modernità precaria, oggi ancora di più, nella quale questi sconfinati brandelli di pubblico e privato disegnano uno scenario tristissimo e privo di qualsia minima qualità.

Acri, lo abbiamo scritto e documentato in questa rubrica e in un libro “Città incompiute”, per esempio non si è voluta sottrarre a questo disastroso bilancio e ancora oggi insiste, con miope sguardo, nella corsa a completare opere pubbliche già costosissime in partenza e poi lievitate ancora, che mai entreranno in funzione e se pure accadrà potranno essere poco utili alla collettività perché non ci saranno mai più risorse sufficienti per il funzionamento e la loro gestione.

Sono macerie di un percorso di modernizzazione malato, distorto che ha investito tutta l’Italia e il sud soprattutto, del quale ancora oggi non si percepisce la reale portata di diseconomia, di spreco di denaro, di sottrazione di fondi che si sarebbero potuti destinare ad altre opere senza dubbio meno faraoniche e più di necessità. Nella vicina Cosenza, “la città immagine” che il Sindaco Occhiuto ha tenacemente deciso di fare diventare vetrina della sua vanità e aspirazione -per carità lecita dal suo punto di vista, ma non dal nostro- a ruoli regionali, nazionali, questo modello è tuttora in auge, e invece di indirizzare, per esempio, gli sforzi verso la costruzione di una Cittadella provinciale della Salute, si tiene in piedi l’orrido cadavere dell’Annunziata in cui si entra sani e si può anche uscire malati. A Cosenza, come ad Acri, con un evidente dissesto finanziario cronico,  come nel resto in molte altre città calabresi, si rincorrono inutili sogni museali, grandi opere metropolitane, superflue utopie urbanistiche, senza però avere veri e buoni piani urbanistici, si declamano sogni di vanagloria che faranno passare ad una breve, effimera storia i primi cittadini, soprattutto per la loro incapacità di aver saputo gestire il cambiamento, vero, non d’immagine e di superficiali proclami.

In un momento difficilissimo della vita delle comunità urbane, tutte, grandi e piccole, in una passaggio epocale in cui la pandemia ci ha inchiodati a severe responsabilità verso la terra su cui poggiamo ogni giorno i piedi, forse è necessario capire che serve altro alle città e ai cittadini: per esempio luoghi per la spazzatura, che dilaga vergognosamente ovunque, ai bordi delle strade, nei quartieri, nelle aree centrali, nuovi modelli di rigenerazione del costruito per ridare senso estetico ed energetico al disastro della modernità edilizia, un’agricoltura di prossimità, di piccoli orti e raccolte biologiche, di cicli equilibrati per i buoni e sani raccolti senza sfruttare i suoli,

e poi soprattutto nuovi luoghi per la cura, la salute, gli anziani per sottrarli dai ghetti chiamati ambiziosamente RSA, in cui oggi muoiono per il contagio, ma prima morivano di tristezza e maltrattamenti.

Non serve proclamare a gran voce di voler ottenere denari pubblici per trasformare il desueto ospedale di Acri in un Centro Covid, così come gli altri simili, sperando di risuscitarli in vita, occorre una struttura del tutto ripensata nei servizi sanitari, nella qualità degli spazi a misura di estetica ed ergonomia, di vera funzionalità e sicurezza sanitaria, di risparmio energetico, di abbattimento di tutti i consumi. Sarebbe democratico davvero sapere per esempio quanto costano di energia per luce, riscaldamento, gestione, queste anacronistiche strutture sanitarie nelle quali dovremmo guarire, ma dove il solo entrare, attraversare i corridoi, salire in ascensori traballanti e con cartelli dei piani scritti in precaria grafia, pensare di dover sostare in stanze tristi e ammuffite ci fa già ammalare al solo sguardo.

Chi gestisce, e come, tutti i consumi che hanno provocato di fatto, la voragine dei debiti, insieme a tante altre voci di spesa clientelare sono i “famosi” manager sanitari, molti dei quali (quasi tutti) sono di nomina politica-partitica e rispondono dunque prima alle logiche di portatori di voti che non di servizi agli utenti. Questo vale per tutti i 18 ospedali minori calabresi, strutture vecchie, cadenti, prive di una buona impiantistica, fatiscenti, con metà macchinari idonei e altre metà vecchi e inutilizzabili, ma che sono comunque costati cifre significative con denaro pubblico.

Insomma la modernità delle macerie non serve a nessuno, e per arrestarne la logica, qui come altrove, occorre cambiare obiettivi, uomini e strategie, servono menti capaci di ricomporre i brandelli in una figura nuova e di vera modernità, e ciò può avvenire, tuttavia, solo con il risveglio di una coscienza civica.

Pino Scaglione

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5 risposte

  1. Stefano ha detto:

    Egregio architetto, ritengo che il suo elenco, relativamente ad Acri, sia parziale e incompleto. Credo abbia dimenticato l’obbrobrio più grosso che sia stato fatto, ossia quell’assurda muraglia in cemento armato, costruita sopra il calamo negli anni 80, emblema di quella “cultura”, che giustamente lei oggi ripudia. Cordialmente

    • Scaglione Giuseppe ha detto:

      Gentile Stefano sulla questione che lei cita farò un pezzo ad hoc perché vi è tanta confusione e tanta superficialità. Grazie comunque di averlo ricordato.

  2. Stefano ha detto:

    La ringrazio architetto per la sua risposta e la sua disponibilità ad approfondire un tema tanto caro alla città. Già che c’è, se volesse approfondire anche quello dello scempio sulla nostra costa ionica da parte di un abusivismo selvaggio sarebbe utilissimo. Grazie ancora.

    • Scaglione Giuseppe ha detto:

      Diciamo che il vero abusivismo selvaggio si è consumato sulla costa tirrenica. Lo Jonio ne è parzialmente esente per questioni geografiche e morfologiche, malgrado abbia subito offese al paesaggio gravissime e permanenti.

  3. Stefano ha detto:

    Mi perdoni, non è per scortesia, ma non sono assolutamente d’accordo. La costa Ionica è stata Devastata, comprese arie a voi noi molto vicine, negli anni 60 e 70 da un abusivismo selvaggio e incontrollato. Anche questo è scempio. Scempio non è solo l’hotel in cemento armato a picco sulla costa, ma tutto quello che è stato fatto, in maniera abusiva e incontrollata, sulle spiagge ioniche non possiamo assolutamente assolverlo.

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