Anita e gli altri…

Le ragazze e i ragazzi vogliono andare a scuola. Lo ha testimoniato Anita e poi anche altri, dalle medie ai licei, da Torino a Firenze a Napoli. Un banco davanti scuola, o seduti per terra, nel cortile vuoto con il loro tablet, con i quaderni e i libri, si collegano a distanza nei pressi delle scuole. La richiesta esplicita è di un rapporto ravvicinato con lo spazio scolastico. Anita ha 12 anni. Molti altri lo hanno fatto in queste ultime settimane, il desiderio è quello di uscire di casa, fa freddo, è vero, ma non importa. Anita lo ha fatto prima da sola per alcuni giorni e poi si è unita a lei un’amica. Poi si sono aggregati quelli del liceo di Firenze, hanno tirato dietro anche qualche insegnante, sono andati davanti scuola, hanno parlato con la loro preside, si sono visti tra loro, davanti al portone, uno scambio di saluti per testimoniare un desiderio: tornare a scuola. Altri piccoli gruppi in moltissime scuola italiane, contagiati dal desiderio, hanno fatto azioni simili. Alcune di queste iniziative sono state bloccate sul nascere, non si può stare davanti scuola, la didattica a distanza si fa a casa. Un desiderio interrotto, ma era inevitabile.

E’ cambiato così tanto tutto che quasi non ci ricordiamo più. La scuola, l’università, milioni di persone, anche bambine e bambini nelle zone rosse, ragazzi e ragazze delle medie, delle superiori, delle università, tutti gli insegnanti e le insegnanti, uno sforzo collettivo enorme. Tutti coinvolti nel tentativo di tenere legate, a distanza, le persone, tenerle vicine ai loro interessi di apprendimento e alla motivazione di conoscere. Una traslazione collettiva in un altro mondo sociale, quello digitale. La digitalizzazione della vita quotidiana è entrata nelle nostre case, da sud a nord, a ogni latitudine, il governo ha stanziato risorse per l’acquisto di Giga per gli studenti, le università consegnano Sim con Giga gratuiti per studenti che altrimenti non potrebbero collegarsi alle lezioni. Le grandi aziende multinazionali del mondo digitale sono gli attori invisibili più presenti nel mercato delle tecnologie, salgono nelle borse di tutto il mondo, si rendono indispensabili offrendo piattaforme che risolvono problemi, adatte a tutti i bisogni e a tutti i mondi, dalla scuola al lavoro, Teams, Meet, Classroom, Zoom e molte altre,  nuovi spazi sociali in cui riportiamo le nostre vite per continuare a stare insieme. Come fanno a resistere ragazze e ragazze, a studiare storia, geografia, latino, matematica, arte, musica, flussi ininterrotti di saperi che transitano giorno e notte sui server di tutto il mondo in un evento sociale planetario. Non solo digitale però.

Molte le indagini nazionali e internazionali che ci aiutano a capire gli effetti presenti e futuri della pandemia nella scuola.

Due indagini nazionali recentissime di Ipsos e Demopolis raccontano della povertà educativa effetto della pandemia e di come un bambino su dieci non mangia un pasto completo se le mense scolastiche sono chiuse. Si tratta di inchieste che rendono evidente quanto sia fondamentale il ruolo della scuola per garantire la possibilità di costruirsi un bagaglio di competenze, un futuro diverso a chi vive in condizioni di fragilità, ai margini. Secondo queste indagini il 75 % degli italiani è convinto che a pagare il conto della pandemia saranno proprio i più giovani. A causa dello scarso apprendimento scolastico con la didattica distanza. Su questa scia un’indagine compiuta dalla Fondazione Giovanni Agnelli fa emergere che in molti casi la scuola italiana ha reagito all’emergenza sanitaria in modo costruttivo, adottando e adattandosi alla didattica a distanza ma il 2019-2020 si è concluso con un livello di apprendimenti degli studenti inferiore rispetto a un normale anno scolastico e l’anno scolastico in corso potrebbe chiudersi  con un incremento di conoscenze e competenze inferiore di circa il 32-37 per cento per la lettura e del 50-63 per cento per la matematica, rispetto a un tipico anno scolastico.

E nel resto del mondo? Fuori dall’orbita dei paesi più ricchi?

In molti villaggi dell’Africa si è passati alla scuola via radio, con radioline a pila distribuite nei villaggi per poter consentire a ragazzi e ragazze di ascoltare la voce di un insegnante che quel giorno parlava di matematica e poi domani una lezione di inglese o di francese. Secondo l’UNESCO, in seguito alle misure per contenere la diffusione del COVID-19, il 68,5% dei bambini  e ragazzi nel mondo non possono andare a scuola, più di un miliardo di persone. Per cercare di raggiungere una parte di loro (molti non sono raggiungibili, perché sprovvisti di tecnologie, oppressi dalla guerra o dalla miseria) sono al lavoro grandi e piccole agenzie internazionali che stanno cercando di distribuire kit (audiocassette, cancelleria, quaderni) per raggiungere bambine e bambini che hanno dovuto abbandonare la scuola, non solo per il virus. In alcuni villaggi dell’India i bambini fanno scuola per strada, aule improvvisate con insegnanti di strada, qui non c’è internet, nessuno di loro ha un computer. La scuola a distanza nei paesi poveri si fa solo nelle scuole private,  quelle a cui possono andare i figli delle classi più agiate. E gli altri? Il rapporto dell’UNICEF uscito a fine estate dice che almeno un terzo degli alunni nel mondo non sono stati in grado di accedere all’apprendimento a distanza quando le loro scuole sono state chiuse a causa del COVID-19. Il numero di bambini la cui l’istruzione è stata completamente interrotta per molti mesi rappresenta e rappresenterà un’emergenza educativa globale. Le ripercussioni potrebbero essere avvertite nelle economie e nelle società per i decenni a venire. Ad essere più colpiti a livello globale sono stati gli studenti dell’Africa subsahariana, con metà di loro che non sono attrezzati per seguire attività didattiche a distanza, quelli appartenenti alle famiglie più povere (il 72%) e quelli che vivono nelle zone rurali del mondo. Il rapporto riporta i tassi di esclusione a seconda delle fasce d’età: i più piccoli  sono quelli che sconteranno maggiormente l’esclusione dalla didattica a distanza negli anni più critici del proprio sviluppo. L’UNICEF evidenzia che circa il 70% dei bambini in età prescolare non riesce ad essere raggiunto da forme remote di didattica, soprattutto a causa dei limiti dell’apprendimento online per i più piccoli, della mancanza di programmi specifici per questa fascia di età e della carenza di risorse nelle famiglie di appartenenza.

Anita vuole andare a scuola, come lei tanti e tante altri.  La scuola nell’intero pianeta sta affrontando un evento epocale che lascerà profonde tracce. Cerchiamo di fare in modo – ogni docente dovunque si trova, in ogni scuola, in ogni aula universitaria, dietro a ogni schermo di computer, che queste tracce lascino non solo segni negativi. Anche a distanza si può fare molto, quando è possibile solo questo. In molti posti del mondo neanche questo è possibile.

Assunta Viteritti

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Una risposta

  1. Adelinda Zanfini ha detto:

    L’articolo invita, dati alla mano, alla responsabilità etica del docente a distanza .
    Ogni docente può compiere il volo del colibrì, fare la propria nel far riemergere ciascuno dal disastro culturale provocato dalla pandemia.
    E’ un qualificato e documentato grido d’allarme.
    La foresta (dei saperi) brucia, nessuno può essere lasciato indietro!

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