Il nostro quotidiano tra dubbi e nuove paure

“La condizione più straziante dell’animo umano non è la sofferenza ma
il dubbio “ (Paul Mehis). Questa frase è drammaticamente vera e ben si
adatta alla nostra attuale situazione, di precarietà esistenziale e di
mancanza di strategie chiare e prospettive nitide.
La nuova ondata pandemica ci ha, stranamente, colti di sorpresa e
impreparati, pur essendo stata ampiamente annunciata. Se in primavera
avevamo la scusante dell’emergenza improvvisa, inaspettata, oggi non
abbiamo questa giustificazione. Si procede a vista con DPCM che si
succedono a cadenza quasi settimanale, senza che nessuno abbia, ad
oggi, il coraggio di dire come stanno realmente le cose. Vista da un
punto di vista prettamente scientifico, la situazione lascia pochi
dubbi: non saremo realmente fuori dalla pandemia prima della fine del
prossimo anno, né si può realmente pensare che l’arrivo del vaccino
porti immediatamente alla fine di questo incubo. Gli immunologi più
esperti concordano nel dire che ci sarà probabilmente bisogno di due
dosi, per cui, prima di sei mesi dall’avvio delle vaccinazioni, non
sarà ipotizzabile una vera immunità acquista in forza del vaccino. Nè
si può pensare che l’immunità di gregge possa rappresentare una
soluzione. Ad oggi, realisticamente, nonostante il dilagare della
pandemia, si stima che solo il 5% della popolazione nazionale abbia
acquisito immunità verso il COVID19. Il che vuol dire che il restante
95% non è protetto.
Che fare allora?
Anzitutto un minimo di chiarezza, dicendo alla gente come stanno
realmente le cose e che saranno probabilmente necessari, oltre a
quelli appena presi, altri provvedimenti restrittivi e nuovi lockdown,
considerato che l’andamento sarà a fisarmonica e che dopo una nuova
fase remissiva dopo il nuovo picco, atteso a breve, ci saranno altre
ondate. Nel frattempo, piuttosto che sperare in meccanismi poco
realistici come quelli appena citati, bisognerà rimboccarsi le maniche
e prepararsi a altri 12 mesi di sacrifici con periodi di allentamento
e periodi di restrizioni sulla base dei dati epidemiologici, con
l’augurio che le fasi di allentamento non verranno lette, come per il
recente passato, come licenza di fare ciò che si vuole ma come periodo
di tregua preziosa per adeguarsi ed evitare nuovamente di farsi
cogliere di sorpresa, specie per quanto riguarda l’adeguamento delle
strutture sanitarie. Si tratta di individuare strutture dismesse (e ce
ne sono tantissime disseminate da una forsennata e strabica politica
di rigore irrazionale, anche nella nostra regione) adattarle e tenerle
in stand by in caso di nuova emergenza. Oggi si vive il paradosso di
vedere una regione come la Calabria, con relativamente pochi casi,
chiusa e classificata ad alto rischio per l’esiguità di posti di
terapia intensiva. Una gestione della sanità regionale orba, senza
confini né etichette, trasversale, che oggi ha prodotto un lockdown
sicuramente evitabile in altre condizioni.

Massimo Conocchia

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