È una questione di sguardi
Arriviamo alla spicciolata frettolosamente e ci sediamo sulle panchine, chi all’ombra e chi in pieno sole.
C’è un silenzio irreale. Sembra di essere in un ospedale da campo, tutte con la mascherina – distanziate e con una storia fragile e spezzata da raccontare. Poi pian piano qualcuna sottovoce comincia a parlare e a porre domande sul futuro e nessuna sa dare una risposta, ma la ricchezza di tanti incontri è ricchezza di sguardi, di calore, di vicinanza, più che di concetti, di consigli e di idee.
Una giostra sgangherata rievoca ricordi d’infanzia e la musica ci mette un po’ di allegria.
C’è bisogno di trasformare qualcosa in noi – mi domando – forse la paura in coraggio. C’è forse bisogno di far brillare occhi spenti, di illuminare una nuova strada e di scaldare cuori in lacrime? Ci ho pensato a lungo
e credo che il primo passo sia quello di prendersi cura di se stessi e dell’altro , che non vuol dire sostituirsi
a lui, non è invadere il suo spazio, non è cercare di risolvere i suoi problemi; aver cura è comprendere
quando esserci e quando fermarsi a debita distanza, è spronarlo a tirar fuori il meglio di sé, è condividere
con un gesto discreto qualcosa di dolce mettendo a disposizione ciò che non basta neppure per noi senza
aspettare che tutto funzioni. E torniamo a casa con la mente e il cuore allineati che ci aiutano a non cadere
nell’indifferenza o nella tiepidezza. Bisogna continuare a credere che noi possiamo – d’un tratto – liberare
energie inaspettate e riuscire a scrollarci di dosso la paura. Bisogna continuare a credere che, nonostante
la notte, riusciremo a vedere meglio se sappiamo attendere il giorno. E attendere significa sperare oltre
lo scoraggiamento, il pessimismo, l’isolamento e l’individualismo.
E’ una questione di sguardi. Un abbraccio.
Elena Ricci