Aree svantaggiate: civiltà da recuperare, condizione da ribaltare

Acri, e molti altri comuni simili sono “aree svantaggiate” secondo una definizione delle Politiche di Coesione Europee per il periodo 2014-2020. Per queste aree è stata sviluppata, in Italia, la Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI), nata nel 2014 e tuttora in via di svolgimento.

La SNAI disegna una geografia dei comuni ritenuti “aree interne”, classificati in base al criterio della distanza (maggiore di 20 minuti) rispetto ai comuni caratterizzati dalla presenza di servizi essenziali, quali la sanità, l’istruzione e la mobilità (UVAL, 2014). Ne risulta una mappa del nostro Paese, in cui lo scheletro montuoso delle Alpi e degli Appennini risulta essere quasi completamente area interna: si tratta del 60% del Paese. In questa geografia la SNAI ha selezionato 72 aree-progetto, che comprendono più di 1.066 comuni (il 13% dei comuni italiani che occupano quasi il 17% del territorio nazionale) nei quali vivono oltre due milioni di abitanti, sparsi equamente in tutte le regioni, e formate mediamente da 15 comuni ciascuna, con una media di 29.000 abitanti. Acri, paradossalmente, non rientra in questa geografia e non se ne comprendono le ragioni se non per responsabilità sia locali che nazionali.

I progetti finanziati riguardano due diversi aspetti: da una parte migliorare la fornitura e la presenza dei servizi essenziali (finanziati tramite i fondi nazionali), dall’altra sostenere lo sviluppo locale (finanziati dai fondi comunitari per la coesione FESR, FSE, FEASR e FEAMP). A queste strategie si aggiungono i recenti provvedimenti per i borghi e i piccoli comuni (ovvero i comuni con meno di 5.000 abitanti) sia nazionali che regionali, questi ultimi bloccati perché gestiti in maniera palesemente clientelare, con molti ricorsi in atto. I piccoli borghi si riconoscono nella legge 158 del 6 ottobre 2017, detta appunto “Salva borghi”, una legge modesta che già presenta molti problemi e limiti, che non rispetta affatto l’ambizioso obiettivo di tutela e valorizzazione dei comuni più piccoli e problematici del Paese. Il suo portafoglio è di 100 milioni di euro su un arco di 10 anni a cui possono teoricamente accedere tutti i 5701 comuni italiani che sono al di sotto dei 5000 abitanti. Sia la SNAI, che la legge salva borghi, e la norma per gli incentivi per unioni e fusioni di comuni, nascono con un obiettivo di fondo, quello di sostenere e incoraggiare i territori svantaggiati del Paese. Ma sono tre strategie che non fanno parte di una visione unitaria, ma figlie di provvedimenti disgiunti tra loro, nati su pressione di questioni specifiche, vuoi finanziarie, vuoi sociali, vuoi locali. La crisi delle aree interne si risolve proprio nelle aree interne e non ripensando le relazioni tra queste e le città, ripensando le sfide ambientali davanti alle quali gli strumenti già spuntati dei comuni, letteralmente impallidiscono. Per esempio, la raccolta dei rifiuti, la tutela delle acque, le questioni idrogeologiche, l’uso del suolo e tante altre tematiche, richiedono di superare il modello di gestione del singolo comune, verso un ambito territoriale più vasto al cui interno i comuni sono fortemente coordinati come un tutt’uno. Allineare e coordinare progetti e politiche urbanistiche in una visione collegiale, in un gestore associato, in un immaginario turistico coerente, implica accordi tra comuni che devono essere essi stessi un progetto. Acri non si rivela, ad oggi, capace di dialogare con nessuno dei comuni vicini per queste e altre tematiche, ma non è solo Acri, bensì gran parte dei comuni calabresi e meridionali. Nessuna strategia nazionale, se non supportata da modelli cooperativi potrà avere esito, se non diventa parte di volontà nel ristabilire i principi di civiltà dentro queste aree, se non si ribalta una vecchia logica del subire piuttosto che dell’agire, guardando e attivando dispositivi nuovi di coordinamento, evitando inutili individualismi e dispersioni di risorse. Trovo, per questa serie di ragioni, vecchi, superati, obsoleti e inefficaci, i modi di amministrare in queste aree, ad opera di molte amministrazioni che non hanno compreso quanto sia necessario salvare l’identità, i valori, e ciò che resta di queste economie, dei paesaggi e della società, attraverso un coraggioso slancio che passi prima di tutto da importanti nuove idee, dal sogno di ribaltare una condizione di svantaggio e marginalità, dal ristabilire gli elementi di base di una civiltà antica che attende solo di essere resa attuale. Mi risulta incomprensibile l’atteggiamento di quelle amministrazioni che si trincerano dietro una presunta carenza di fondi, perché sappiamo bene che di risorse, a saperle intercettare con progetti innovativi, ve ne sono a sufficienza, ma non per fare campagne elettorali a colpi di milioni per inutili opere pubbliche, fuori tempo e fuori misura, bensì per piccole cose, come ridare senso alla storia e alla memoria nelle città storiche,  cambiare la fisionomia delle nostre orride periferie, realizzare parchi naturali urbani, capaci di restituire spazi alla natura, cui sono stati sottratti, pensare luoghi per lo sviluppo di attività culturali, le sole capaci di emancipare le popolazioni svantaggiate dal gap con le città.

La civiltà di una comunità “svantaggiata”, non si evince solo dal rispetto delle regole di convivenza, che pure è una grande conquista ancora da riaffermare, ma dalla volontà di riscatto e dall’immaginare un futuro per sé stesse e le comunità vicine, diverso da questo attuale che ha generato solo disagio, marginalità, disuguaglianze.

Pino Scaglione

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