Il re ricompensò il cardinale Ruffo

La marcia trionfale del cardinale Ruffo che, con l’armata della Santa Fede ridiede il trono a Ferdinando IV di Borbone, è nota a tanti, ma riteniamo non si sappia come il sovrano ricompensò.

Per dare una risposta cediamo a un cronista dell’epoca, ovviamente di parte.

“Intanto però ha voluto la M. S. distinguere i servigj renduti dal Cardinale Ruffo; dandogli la Badia di S. Sofia che rende ducati otto a nove mila, in perpetuo nella di lui famiglia. Gli ha date delle Terre della rendita di 15 mila ducati colla facoltà di appropriarne la successione a colui, o a coloro de’ suoi parenti a’ quali esso giudicherà di assegnarli”.

Tanto si scriveva il 9 agosto 1799.

La ricompensa non si fermò qui. “Il di lui fratello da Capitano ritirato – ci informa il suddetto – fu creato Colonnello effettivo per averlo seguitato in Calabria, e con una pensione di 3 mila ducati l’anno. Il Cardinale poi è stato dichiarato Luogotenente Generale del Regno di Napoli, e durante l’assenza del Re gli sono stati assegnati 24 mila ducati per tale Commissione temporale, in vece de’ 18 mila che gli antichi Stabilimenti determinavano per tale carica”.

E gli altri al seguito? Il munifico re non se ne dimenticò.

 “Il Cav Micheroux che col soccorso ricevuto dagli Ammiragli delle Squadre Russa, ed Ottomanna in Corfù si portò nella Provincia di Puglia, ed animò quei fedeli popoli all’insurrezione contro i Francesi, e loro seguaci, è stato promosso al grado di Colonnello, ed ha avuto un’ annua pensione di ducati 3 mila”.

E i vescovi, che ebbero tanta parte? “I Vescovi di Capaccio, e di Policastro, che il primo alla testa di 6 mila uomini aveva fatto l’avanguardia del Cardinale all’avvicinamento di Napoli; e l’altro avendo formato un Corpo di 14 mila uomini fin dal mese di Marzo aveva armato contro i Francesi la Provincia di Salerno, impedito loro il passaggio in Calabria tentato per ben tre volte, e li aveva respinti, e battuti col mezzo de’ Corpi appostati ai Ponti di Eboli, e di Campestrina, sono stati ricompensati con benefici Ecclesiastici”.

Insomma i “vertici”, dei quali continua l’elenco e le ricompense, come al solito, ebbero e tanto.

E il popolo seguace? Abbiamo ricercato qualche traccia, ma nulla. Allora ci sono tornati in mente i versi del grande Trilussa: un generale si lamentava col suo cavallo, perché ai rumori di guerra svicolava, s’impuntava, s’impennava. Tutto questo all’eroe non garbava. Ed ecco la risposta del cavallo:

– A me, però, nun me ciavanza gnente,

– je rispose er Cavallo – e quest’è er brutto

che, quanno moro io, moro der tutto:

definitivamente.

Ammenoché, magara fra quarch’anno,

ce sia chi m’aricordi indegnamente

ner monumento equestre che te fanno.

Dovrebbero scorpì sur piedistallo:

«Ar Generale Spartaco Falloppa

e un po’ pure ar Cavallo

ch’ebbe er coraggio de tenello in groppa».

Di quel “cavallo-popolo” nessuno si ricorda, nemmeno i re. Eppure quel popolo credulone e dalla mente di gallina soffre, s’illude e spera, ma nessuno, proprio nessuno si ricorda di dire “ch’ebbe er coraggio de tenello ‘ngroppa”.

Lo facciamo noi, sperando che serva di lezione in ogni tempo, compreso il nostro, dove chi dovrebbe sostenere il popolo-cavallo al posto di ringraziarlo e bonificarlo lo deruba.

Giuseppe Abbruzzo

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