La Calabria (non) di Muccino

Non voglio essere una criticona, non amo affatto dover fare osservazioni così negative ma questo corto mi manda in bestia.

Non mi piace per tanti, troppi motivi. Il primo è che sia l’ennesima occasione sprecata per la mia terra.

È privo di trama. Questi due attori girano a caso tra bar e agrumeti (neanche fosse la pubblicità dell’aranciata).

Nessun legame sentimentale con la propria terra viene mostrato (si cita appena un nonno e anche frettolosamente).

Il corto inizia con “Dove vuoi che ti porto?”, magari intendevano “Dove vuoi che ti porti?”. Concedo alla pronuncia di Raul Bova il beneficio del dubbio perché tremo nel pensare che sia collegato a un dialettismo. Dialetto non è sinonimo di sgrammaticato.

Le coppole. Ma davvero?

Mare, mare, mare e la Sila?

Nessun luogo ha un nome. Tutto potrebbe essere ovunque.

Asinelli e balle di fieno, tipo film del vecchio west ma con troppo poco budget per i cavalli.

Io ho vissuto l’esperienza di portare la persona che amo a conoscere il mio sud. Posso affermare che tutto quello che fanno qui è surreale. A parte mangiare solo agrumi (per carità un’eccelleza del territorio), non visitano una che sia una (che sia una) bellezza del nostro patrimonio artistico, culturale e architettonico. Ma dico io, siete al balconcino di Tropea e perché diavolo inquadrate solo il mare?! Per dirne una.

I due che parlano non si dicono niente. Niente! “I tuoi occhi sono così azzurri perché hanno visto il mare” semicit. Ma in quali Baci Perugina l’hai trovata Muccino?

La color correction forse è l’unica cosa che si salva.

Per me la Calabria è natura e cultura, famiglia, buon cibo, dialetto, il profumo della Sila, il mare senza fine, storia (tanta), ma anche tarantella e folklore, gli amici di sempre, è arte e architettura, è agrumi, salumi, liquirizia, olio, salsa rossa e viva, formaggi, cullurielli, peperoncino, è il fuoco che arde nella “vrascera”, è qualcuno che canta dal balcone in un vicolo, è lo zio seduto a giocare a carte al bar, è la gente che ti offre qualunque cosa anche se non ti conosce perché sei figlio della sua stessa terra. La Calabria a volte è dolore, tristezza, malinconia è emeozione che non puoi controllare, ma sopratutto è casa.

La Calabria non è uno stereotipo, non è un ripresa frettolosa di un regista che forse, e dico forse, non la sente nemmeno sua e la fa apparire un datato territorio agricolo dalle tinte gialle e azzurre, senza neppure avere il coraggio di scrivere una sceneggiatura che le dia un briciolo di valore.

Emilia Bifano

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2 risposte

  1. Giuseppe Donato ha detto:

    Brava Emilia. Il regista si è limitato ad applicare il solito concetto abusato di marketing “Basta che se ne parli”, finendo per risultare riduttivo nell’esposizione dei contenuti. Bastava prenotare un bed & breakfast alla coppia Bova-Morales e ci saremmo risparmiati due milioni di euro da destinare magari alla Sanità.

  2. Francesco Tocci ha detto:

    Mi chiedo: non potrebbe essere utile al dibattito del 《festival delle critiche》al disastroso cortometraggio, intravedere delle puntuali 《distrazioni di committenza》 da addebitare alla cabina di regia politica, nel caso in esame da intendersi nella accezione di capacità artistica e capacita’ gestionale del denaro pubblico? Consiglierei la lettura del commento di Nunzio Belcaro, edicolante di Catanzaro, apparso oggi in un articolo sul Corriere della Calabria.

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