“Non c’è più il Castello matotino-tino-tello…”

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C’era una volta un principe, che abitava in un castello, ma le sue terre occupavano una vasta penisola nel Mar Mediterraneo. Il territorio era ameno, vario e veniva visitato da tanti altri principi, conti, marchesi, baroni, e finanche da re e regine che volevano fermarsi definitivamente con i loro seguiti.
Era un principe che, come tutti i principi delle favole, coronò il suo sogno prendendo in sposa una principessa bella e affascinante con la quale governò diversi popoli.
Il principe aveva amicizie in tutta Europa ed accoglieva coloro che volevano salvarsi dalle scorrerie di invasori, i quali, come tutti gli invasori, erano agguerriti e feroci. Li accolse dando loro terre e sostegno, e acconsentì che un suo discendente, Pietro Antonio Sanseverino, prendesse in sposa Irene Castriota Scanderberg, una principessa venuta dal mare. Aveva tanti castelli e costruì altri palazzi per poter dimorare in paesi lontani.
Tutta la sua famiglia, devota al Papa di Roma, ascoltò nei secoli le parole di carità di Fra Francesco da Paola, Fra Umile da Bisignano e Fra Angelo d’Acri, venerabili padri francescani.
Nel suo principato fiorirono l’agricoltura e l’artigianato, mentre valenti allevatori selezionarono una razza di cavalli bianchi (chinea), conosciuta ed ammirata dalle altre corti europee, che veniva utilizzata dal re di Napoli per portare il suo tributo di vassallaggio al Papa.
Ora questo principe non c’è più e dal 1888 non c’è più alcuno della sua discendenza; di lui rimangono, in tante località, i castelli ed i palazzi sulle cime più alte, a volte integri, con stanze ornate di statue, affreschi e suppellettili, altre volte diroccati (Castello di San Mauro a Corigliano-Rossano, XVI sec.). La testimonianza della loro esistenza è affidata anche ai ruderi, che hanno subito l’azione dei terremoti e quella degli agenti atmosferici.
Il castello principale (denominato Cacomacio e poi Castromonte), era posizionato su un intero pianoro sabbioso (presumibilmente ricoperto da una coltre conglomeratica di pochi metri di spessore) e dominava dall’alto l’agglomerato urbano di Bisignano, che si sviluppava su 8-9 strette dorsali, poste più in basso.
Il castello, nel corso della sua storia ha subìto ripetuti eventi sismici che hanno minato la resistenza delle strutture murarie e resa più precaria la stabilità dei versanti, i quali, franando, hanno provocato il crollo delle mura di cinta, che vi poggiavano.
I continuati terremoti, verosimilmente, possono aver spinto la corte dei Sanseverino a trascorrere sempre più tempo in altri luoghi e a lasciare al suo destino il castello di Bisignano.
L’abbandono e l’incuria di questa residenza finirono quasi per autorizzare i popolani a saccheggiarla e ad utilizzare il materiale per nuove costruzioni. Furono demolite le mura, le torri e i fabbricati tanto che alla fine degli anni ’50 si stentava a vederne le fondazioni. L’amministrazione comunale, nel 1962, decise di iniziare lo sbancamento della sommità del pianoro per costruirci edifici comunali in un’area attrezzata a verde pubblico, e, col materiale di risulta, fare una piazza centrale adiacente Viale Roma.
Adesso, possono bastare i versi di Alessandro Tassoni del 1614 (“Pallade sdegnosetta e fiera in volto/ venía su una chinea di Bisignano/ …”) e il lodevole impegno di coloro che ripropongono da quasi trent’anni il Palio del Principe per recuperare i fasti passati di Bisignano e porre la cittadina in un circuito turistico colto, raffinato, ma attratto anche dall’ammirare testimonianze storiche, che a quanto pare in Bisignano sono rappresentate da un residuo di un manufatto, largo due metri, che conduceva (probabilmente) al Castello?
Francesco Foggia

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