Giacomo Mancini sindaco di Cosenza: un’esperienza politica singolare nel panorama calabrese

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Giacomo Mancini è stato uno dei maggiori uomini politici calabresi, deputato per molte legislature, ministro dei Lavori pubblici nel I governo Moro di Centro-Sinistra (1964), segretario Nazionale del P.S.I. prima dell’avvento del craxismo (di cui è stato uno dei più autentici oppositori). Non è del Mancini politico nazionale che vogliamo qui occuparci ma dell’ultima fase della sua vita politica, coincisa, di fatto, con la conclusione della sua vita biologica (è morto nel 2002 dopo 9 anni di sindacatura a un mese dalle elezioni amministrative).

Giacomo Mancini divenne sindaco di Cosenza nel 1993, nel pieno della bufera di Tangentopoli e in controtendenza con la spinta nel resto d’Italia che eleggeva e premiava o esponenti al di fuori della politica tradizionale (penso a Massimo Cacciari a Venezia, a Illy a Trieste, a Guazzaloca a Bologna) o esponenti dell’opposizione non coinvolti con la bufera giudiziaria in corso (penso a Bassolino a  Napoli o a Poli Bortone a Lecce). Cosenza divenne, in quegli anni, un’esperienza politica particolare e in controtendenza con alcuni dati nazionali. Mancini divenne sindaco di Cosenza nel 1993, succedendo a suo figlio Pietro, sindaco per appena un anno. Riuscì a fatica ad arrivare al ballottaggio a capo di una coalizione atipica composta da due liste, una di suoi fedelissimi e una civica composta in gran parte ad ex fuoriusciti del M.S.I.. Al secondo turno stravinse, polverizzando, di fatto, sia la Destra che la Sinistra. Di quella esperienza durata nove anni, due mandati, fino al 2002, con una breve interruzione del 1995 al 1997 per vicende giudiziarie che lo videro coinvolto e nelle quali non ci addentriamo, sia perché esulano dal nostro presente intento, sia perché non disponiamo di elementi qualificanti e definitivi ai fini di un giudizio sereno.

Mancini, insomma, venne rieletto per il secondo mandato, stavolta a capo dell’intera coalizione di Centro-Sinistra, che riuscì a riunificare.

Dell’esperienza amministrativa di Mancini ci sono alcuni elementi che è bene sottolineare perchè utili ai fini della costruzione di un esperimento politico nuovo in Calabria. Mancini Sindaco brillò per alcuni aspetti: riuscì a intercettare e utilizzare i fondi europei portando a un rinnovamento sia del tessuto economico cosentino che architettonico e urbanistico con un’azione di recupero del Centro storico che,  proprio sotto la sua gestione, conobbe un notevole miglioramento. Se oggi Cosenza è una città armoniosa e vivibile, lo si deve alla lungimiranza di quell’anziano leader.

Dell’esperienza cosentina di Mancini vanno sottolineati a nostro modo di vedere due elementi, che costituiscono insieme e per angolazioni diverse il segreto di un successo durato 10 anni e non più ripetutosi né a Cosenza né in altre grosse realtà calabresi. Il primo elemento è senz’altro quello autocratico, accentratore, che non ha lasciato spazio a elementi disgreganti e centrifughi. L’uomo solo al comando e a prendere decisioni, che ha fatto sì che le scelte fossero chiare e senza diversivi. L’altro segreto di quel successo è stato uno sguardo a una politica di premiazione di elementi vicini, che ha permesso di acquietare molte anime. C’è stato poi un aspetto familistico che non si può non sottolineare e che dimostra – in questo caso non positivamente, a nostro modo di intendere – ulteriormente le sua capacità carismatiche e decisionali. Dopo avere tentato l’avanzata politica del figlio, si adoperò, con maggiore successo, per quella del nipote, che, in un certo momento della sua carriera politica, fu contemporaneamente consigliere comunale, provinciale e deputato. Quanto il suo carisma e il suo carattere fossero determinanti lo ha dimostrato anche nel crepuscolo della sua sindacatura, quando propose e ottenne di designare il suo successore e assessore della sua giunta (Eva Catizone), proponendolo come elemento innovativo (la prima donna sindaco della città). Gli anni successivi, fino ai giorni nostri, hanno dimostrato quanto la debolezza personale e politica di molti dei suoi successori abbia influito nelle vicende politiche susseguenti.

Il nostro intento oggi, ben lungi dal condannare o “santificare” nessuno, era quello di sottolineare come  alcuni elementi, personali e politici, possano influenzare le fortune politiche degli amministratori e di come questi possano determinare, di fatto, un diverso destino sia degli uomini che delle realtà amministrate. Riteniamo che un amministratore non debba essere uno sprovveduto e la storia dimostra che tutti gli quelli totalmente digiuni di politica sono stati di fatto fagocitati e rigettati dal sistema come ectoplasmi. Questo non implica automaticamente che si debba essere dei politici di lungo corso ma che un minimo di conoscenza di quel mondo e di quelle dinamiche possa senz’altro giovare, al netto, ovviamente, di elementi degenerativi, su cui ci siamo più volte espressi.    

Massimo Conocchia

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