Pd, referendum e nuove sfide
Il compromesso e la mediazione sono elementi costitutivi della sottile arte della politica, componenti essenziali per districarsi in un mondo in cui i rapporti si smontano e si ricompongono a seconda delle circostanze e delle opportunità. Nulla di straordinario o terribile, dunque, almeno fino a quando il fenomeno non travalica dai confini del possibile e del decente.
E’ quanto sta accadendo all’interno del PD, che si trova attualmente in una condizione assai delicata e, a tratti, imbarazzante. Oggi il PD si trova nella scomoda posizione di una forza di governo che collabora e gestisce il potere insieme a una forza, se non antitetica, sicuramente diversa. Tutto ciò ha imposto e impone una serie di compromessi, che stanno determinando un pericoloso scollamento con la base. I temi di discussione sarebbero tanti. Ci limitiamo, pertanto, a prendere in esame alcune questioni spinose, in ordine alle quali la posizione ufficiale del partito si scontra con le aspirazioni della sua base: la questione dei migranti e dell’accoglienza e il prossimo referendum sul taglio dei parlamentari.
Sulla prima questione il PD non è stato capace, ad oggi, di affondare e cambiare i provvedimenti della Lega, soprattutto in materia di sicurezza e di accoglienza. Una tematica tanto criticata da Zingaretti quando era a capo del principale partito di opposizione, quanto trascurata successivamente. Un forza di governo progressista non può accettare provvedimenti che avvicinano il nostro Paese a governi populisti di una parte della mitteleuropa. Pretendere che il problema migranti diventi una questione europea e non italiana, con una necessaria redistribuzione degli stessi, con una maggior controllo a livello dei Paesi di origine, magari un maggiore filtro su alcune ONG, è un discorso, altro è un atteggiamento di totale negazione di qualsivoglia forma di accoglienza, che era la sostanza dei provvedimenti adottati dal precedente governo giallo-verde e tutt’ora in essere. Altra tematica spinosa è quella del referendum sul taglio dei parlamentari, che, se fosse legato a una modifica della legge elettorale e a un superamento del bicameralismo, sarebbe la quadratura del cerchio. Così come è concepito, rischia di apparire un provvedimento parziale. E’ vero che Paesi infinitamente più grandi del nostro hanno un numero infinitamente più piccolo di rappresentanti (penso agli Stati Uniti), per cui quasi mille eletti tra le due Camere, in Italia, appaiono oggettivamente troppi. Questa considerazione, associata al fatto che, passando il Referendum, si dovrà obbligatoriamente cambiare il “rosatellum”, ci spinge, astenicamente, a pronunciarci per il sì. Anche in questa delicata questione, però, il PD, ufficialmente, ha sposato la posizione del sì, mentre molta parte della sua base e alcuni dei suoi esponenti, non fanno mistero della loro posizione antitetica rispetto a quella ufficiale della segreteria.
Un altro tema scottante sarà quello dell’utilizzo dei fondi che arriveranno copiosi dalla UE per far fronte all’emergenza determinata dalla pandemia: la scelta tra una posizione assistenzialistica e una gestione rigorosa dei fondi, tenendo lontani appetiti impropri e investendo su sanità, tecnologie, innovazione e infrastrutture, sarà il metro di misura e lo spartiacque tra una Sinistra ancorata all’Europa e una forza incapace di liberarsi di vecchi schemi.
In sintesi, la sfida sarà tra una forza che si accontenta di gravitare attorno al 20% e la nascita di un soggetto nuovo, negli uomini e nello spirito, che ambisca a rappresentare giovani, operai, impiegati, e quel ceto medio che nella maggior parte dei casi fa la differenza e che, ad oggi, appare orfano di un’adeguata rappresentanza .
Massimo Conocchia