“Ura bona Madonna mia!”
Oggi ci occupiamo di un modo di dire che si poteva cogliere di frequente sulle bocche delle nostre nonne e del quale vogliamo rendere conto ai nostri lettori. Chi, come noi, ha i capelli bianchi non potrà non ricordare questa esclamazione, ossia “ura bona!”. Si trattava di un’invocazione, che assumeva le caratteristiche di un auspicio di fronte a eventi incerti o pericolosi. La frase trae la sua origine dalla tradizione pagana, secondo la quale nel giorno c’erano ore propizie, dette, pertanto, “buone” e ore meno favorevoli, dette appunto “cattive”. Di fronte all’incertezza di un evento o al paventato pericolo, le nostre nonne erano solite ricorrere all’esclamazione suddetta, con la quale invocavano che, in quel momento, di pericolo, ci si potesse trovare nell’ora propizia e, pertanto, non ci fosse da attendersi eventi non favorevoli. Speculare alla prima esclamazione c’è n’era un’altra, anch’essa molto usata: “surda l’ura!”, ossia, alla lettera, “l’ora cattiva sia sorda”, cioè non senta e, quindi, non ci sia nulla di brutto da attendersi.
Il nostro popolo viveva di stenti e di pericoli e di fronte a ogni evento si appellava a tutte le forze che poteva, non sempre e non solo a Dio e al cielo ma anche a forze oscure e misteriose. Il pensiero, coerentemente, ripetiamo, con la tradizione pagana, che nel giorno ci fossero ore propizie e ore meno favorevoli non ha nulla a che fare con la tradizione cristiana ma è un retaggio antico, sopravvissuto, come altri, all’avvento del cristianesimo. Cielo, terra, natura, forze oscure e misteriose costituivano un mix non coerente né organico ma testimonianza viva di come la cultura popolare sia, se vogliamo, la sommatoria di più culture, di più tracce, ognuna delle quali testimonia di un lungo cammino, che è fatto, il più delle volte di sofferenza, di sottomissione e di disperazione, di fronte alle quali ci si difendeva come si poteva.
Modi di dire, espressioni e proverbi popolari contengono, in forma sintetica, norme, consigli, modi di fare e di vivere tratti dall’esperienza comune. Spesso, non trovavano modo di tradursi in lettera, dato il tasso bassissimo di scolarizzazione nelle epoche passate, per cui venivano tramandati oralmente, a volte grazie all’uso di rime e assonanze, che ne rendevano più agevole la memorizzazione.
Massimo Conocchia